giovedì 29 novembre 2012

Puzzle



buco
Il grande buco nel mio tetto
…Un po'stanchina? “Pezzettini di un puzzle da 1000”: dovendo descrivermi, è quello che mi verrebbe in mente in questo momento. E come tutti i puzzle, in genere verso la fine ci si accorge che manca qualche pezzo. Di me, probabilmente, qualche pezzo chissà dov’è.
Ho preso l'ardita decisione di spostare i miei due vecchietti, quasi arzilli 85enni, da “lontanissimo” (più di venti minuti di auto in assenza di traffico, per una che non ha tempo di soffiarsi il naso è come dire “su marte”; infatti li vado a trovare con la stessa frequenza con cui vado in vacanza su marte) a “vicino a casa mia” (anzi, praticamente "a" casa mia: è l'appartamento a fianco, al quale faremo un buchetto, tipo "passavivande", "passanonni", "passanipoti", “lanciamarito”, ecc ecc...).
Ciò implica impacchettamento e trasloco di masserizie, annessi e connessi. I miei vecchietti fanno parte dell'arredo, nel pacchetto "annessi e connessi", visto che non hanno più lo sprint che li rendeva artisti del bricolage e fai da te. Naturalmente, per quanto loro si diano un gran daffare per riempire scatoloni, consumando rotoli di cordino e fogli di giornale, l’efficienza sembra un po’gravata dall’artrosi; so già come andrà a finire: gli scatoloni fatti da me ammonteranno al 99.99%, in modo che quando si spacchetterà il tutto potrò godere del primato sulla responsabilità di tazzine rotte.
Il caos cosmico generato non sembrava sufficiente, così a settembre il mio “non-consanguineo-in-comunione-dei-beni” ha avuto l’ideona di aprire un buco (un grande buco!) nel tetto, nella nostra camera da letto. Conseguenze: inenarrabili.
Da giorni dormiamo sul divano perché per dormire a cielo aperto inizia a fare un po’freddino; in compenso, a lavori conclusi avremo un terrazzino in camera da letto, per giornale e caffè in pantofole con vista sul parco Borromeo e sul Casino di Caccia del XIIIsec; grande vetrata che si affaccia sui vecchi tetti di tegole, che in questo momento hanno tonalità di rossiccio che si intonano perfettamente con i colori autunnali. Le montagne sullo sfondo, nei giorni di sole hanno i colori pastello che spiccano sul blu del cielo. Un angolo di paradiso a portata di mano e in 3D.
Nel capitolo “conseguenze inenarrabili” è compreso il fatto che da due mesi convivo con il via vai continuo di muratori, polvere e calcinacci che si insinuano ovunque. Armadi, dispensa, frigorifero: sa tutto di polvere e calcinacci. Non esiste un pertugio, per quanto nascosto che possa essere, che non sia ricoperto da uno strato grigiastro di polvere e calcinacci con un sottofondo un po’untuoso e rossiccio di polvere di mattone. Probabilmente avremo messo in crisi le centraline dell’ARPA con un picco di particolato; se seguiranno giornate con targhe alterne obbligatorie, è colpa mia. Scusate.
Se state immaginando la nebbia della bassa, di colore rossiccio, racchiusa tra le mie pareti domestiche e pensate di esagerare… bè non state esagerando di molto.
In questo momento mi sento particolarmente vicina ai senza-tetto, visto che io un tetto ora non ce l’ho. O meglio, ce l’ho, ma è bucato come se fosse caduta una grossa meteorite centrando in pieno il mio comodino. E questo stato di cose alimenta, non poco, diverse riflessioni sul bel Paese, disastrato, alluvionato, terremotato e sempre in debito di risorse ma con la grande ricchezza della creatività e dello spirito di adattamento e di collaborazione dei suoi abitanti.
E a proposito di spirito di adattamento e collaborazione degli abitanti di casa mia (marito e tre figli adolescenti): anche qui si aprono profondissime riflessioni…. Voragini di riflessioni…! E tutte le riflessioni generalmente portano automaticamente ad una stessa conclusione finale, sulla quale convergono tutti: se io fossi più precisa, ordinata e organizzata non avremmo la costante sensazione di vivere tutti in un sotto-ponte. Il fatto che le camicie stirate siano ricoperte da una patina rossa untuosa un po’lucida non è connesso alla polvere di mattone che c’è in giro ovunque, ma è connessa –secondo loro- ad un qualche deficit con cui io appoggio il ferro da stiro.
Probabilmente non sono più neanche tanto capace di fare la spesa perché insisto a scegliere la frutta coltivata su terreni rossi e che, in tavola, appare ricoperta di polvere rossa; non riesco bene a capire come marito e figli siano in grado di provare con evidenza incontrastabile -sempre secondo loro- che  anche lo scatolame o i cibi confezionati siano stati scelti da me senza la dovuta cura e attenzione perchè, presentati nei piatti, appaiono immancabilmente vagamente rossicci in pochi minuti.
Poi c’è la faccenda della gestione del bagno alla mattina; già una normale gestione del bagno alla mattina non può rientrare nella categoria “serenità famigliare”; questo è ovvio e lo è per tutti. Il problema per noi comincia con il citofono alle 7 del mattino della prima squadra di muratori bergamaschi, il cui via vai si intreccia al normale via vai in mutande dal bagno o con pezzi di pigiama addosso mentre si intonano imprecazioni varie sul colpevole della sparizione degli ultimi pantaloni puliti.
Quindi nella routine si mescolano figli da portare qua e là, in attività varie pomeridiane e non, marito da sopportare più o meno pazientemente... nonnetti da traslocare e muratori ai quali offrire caffè con zucchero e polvere.
Questa è la situazione attuale.
…Domande? …Oppure è tutto abbastanza chiaro?

giovedì 13 settembre 2012

AAA cercasi un salvagente

affogare
Bl-bl-bl-bllll
bl-bl-bl-bllll
Sto affogando, pienamente sommersa dai primi giorni dell'avvio scolastico/sportivo/shopping-istico di tutti...
Si incontrano tanti altri zombi che vagano, come me, in mezzo ai banchi dei centri commerciali in cerca dell'ultima cartella in saldo...
Bl-bl-bl-blllll
Ci sono ancora tutti i libri da ricoprire, qualche libro da ritirare, qualche imprecazione da lanciare per le edizioni in ristampa...
Bl-bl-bl-blllll
I certificati medici, le fototessere, gli acconti e i saldi, le scarpe dei figli che sono già troppo piccole e il maglione con le maniche cinque centrimetri sopra il polso...
Bl-bl-bl-blllll
E poi i colori delle copertine dei quaderni: perchè le maestre impongono il rosa-rossetto alla geografia quando tutti i centri commerciali hanno il violetto-pallido-triste, che si confonde inevitabilmente con storia?
Bl-bl-bl-blllll
C'è un baco da qualche parte: occorrerebbe lavorare sodo almeno 30 ore al giorno per colmare con qualche entrata ciò che viene speso in queste ore; inoltre occorrerebbero altre 30 ore al giorno per fare il giro di tutti i centri commerciali e metteresi in fila alle casse per spendere quanto è stato guadagnato nelle 30 ore di lavoro sodo. Se per ipotesi fissiamo una giornata di sole, misere e ridotte 24 ore, il conto non torna...
Bl-bl-bl-blllll
AAA cercasi un salvagente! Grazie. Pom.


venerdì 31 agosto 2012

Gli svizzeri usano il compasso per fare i buchi nel formaggio?

Mucche
Gli svizzeri nutrono una vera passione per i cartelli “verboten”.
Verboteggiano su tutto e, dove il cartello manca,
c’è comunque un elenco di regole e comportamenti da tenere.
Giretto in Svizzera. Lo stereotipo, nel caso della Svizzera, non solo è fedele alla realtà, ma talvolta è perfino più generoso di quanto si potrebbe immaginare.
I fiorellini nelle aiuole pendono miracolosamente tutti con la stessa identica inclinazione; signori sorridenti e con la tuta da giardiniere curano i sentierini nel bosco riordinando i fili d’erba spettinati che, impertinenti, osano chinarsi sull’asfalto curato del sentiero in salita. Perché molti sentieri nei boschi svizzeri sono asfaltati. Probabilmente sarebbe comodo per chi, come me, gira in bicicletta, se non fosse per il fatto che un cartello “bike verboten” sbarra la strada. Gli svizzeri nutrono una vera passione per i cartelli “verboten”. Verboteggiano su tutto e, dove il cartello manca, c’è comunque un elenco di regole e comportamenti da tenere. C’è un pensiero che mi infastidisce parecchio, mentre mi sento un po’stracciona e fuori posto, slalomando tra i loro cartelli “verboten”: è il pensiero che mi fa guardare con un po’di sospetto le loro banche blindatissime e che riguarda la provenienza di tanto loro agio… In ogni modo, i cartelli in Svizzera sono ovunque: cartelli con i nomi delle strade, con i nomi dei sentieri, con il numero civico del fienile. Purchè ogni bivio abbia il suo cartello, si accontentano di piantare due frecce in direzioni divergenti, senza alcuna indicazione sopra. Giuro: l’ho visto! In questi cartelli raramente ho notato qualche suggerimento sul tempo di percorrenza. Probabilmente perché uno svizzero non reggerebbe l’idea di inserire un’indicazione approssimativa e nessun buon cittadino oserebbe percorrere un sentiero impiegando un minuto di più o un minuto di meno rispetto alla cifra scritta sopra il cartello indicatore. L’assenza dei tempi di percorrenza non è una mancanza da poco, a meno di non essere dotati di costosissime cartine svizzere, pagate con costosissimi franchi svizzeri, dalle quali, attraverso qualche calcolo sulle curve di livello e poche facili equazioni, si può dedurre l’incognita “tempo”.
Un’altra cosa che non ho visto spesso in giro sono le fontane. Non è la siccità il problema: nessun laghetto svizzero o torrente svizzero oserebbe ridurre i suoi confini prestabiliti e segnati premurosamente sulle cartine, per un motivo banale come la siccità. Credo che il motivo sia da ricercare nei… “ristori” (quello che da noi si chiama “rifugio” è fatto diverso!). A 3mila metri di quota, quando la gola è completamente rinsecchita per sete, fame e fatica, appare come un miraggio un grand hotel con terrazza panoramica, tavoli da bar protetti da enormi vetrate frangivento, una stazione ferroviaria del trenino a cremagliera, un tizio che suona il corno e signorine in costume che girano tra i tavoli con un panciuto e tintinnante borsello in cuoio appeso in cintura. Pensando ad un miraggio dei più fantasiosi, si impegnano le ultime energie per correre in bagno pensando di prosciugare le sorgenti. Se la porta del bagno non è a gettone, riusciamo ad entrare e per associazione di idee pensiamo al bagno di casa nostra, ripromettendoci di tenerlo un po’più in ordine e pulito; poi però, quando sentiamo il profumo insistente che proviene da folti ciuffi di lavanda appena colta ci arrendiamo, pensando che tanto non saremo mai all’altezza di un bagno svizzero e cerchiamo finalmente il refrigerio del primo rubinetto libero. Ovviamente il cartello che comincia con “Verboten” e che esprime in tutte le lingue (tranne l’italiano) il concetto che quella non è acqua potabile ci infastidisce un po’, mentre si cerca disperatamente la cellula fotoelettrica che fa scendere l’acqua in automatico. Ci si arrende e si passa ai tavolini del bar, in cerca di qualcosa da bere e da mangiare, contando gli spiccioli che sono sempre in numero troppo esiguo rispetto a quanto le papille gustative sono già predisposte a sognare. Si scopre subito che la “birra piccola” corrisponde ad una tanica da due galloni e che costa molto meno dell’acqua minerale, quindi si cerca qualcuno che ci confermi con certezza che, tutto sommato, anche a nove anni un buon bicchiere di birra possa andare benissimo. In questo modo la gola non è più rinsecchita ma sono prosciugate le risorse economiche, quindi si può procedere per il ritorno. La discesa è un po’più facile e si ha occasione di cogliere il dettaglio che, se non fosse per il chiasso esagerato dei tuoi figli, in Svizzera sentiresti i boschi parlare con il cinguettio delizioso degli uccellini; appena si riesce ad allontanarsi dall’inquinamento acustico prodotto dalla prole italiana, si vedono riapparire gli scoiattoli terrorizzati e molti altri animali che si pensava vivessero solo nei cartoni animati del film Bambi. E questo ambiente assolutamente magico riesce a distrarci dai fastidi dei cartelli e delle spese della giornata. All’arrivo però, con orrore si scopre che dove abbiamo parcheggiato l’auto c’è un omino con il solito panciuto e tintinnante borsello di cuoio appeso in vita che aspetta solo i nostri ultimi spiccioli sopravvissuti.
Entrando in auto (che riconosci perché è l’unica punto color topo in mezzo ad un deposito di Mercedes e BMW gialle e arancioni) ti riprometti, come è già successo con il bagno del grand hotel, che almeno la terrai un po’più pulita.
Varcando il confine non si può sbagliare: i guard raid acciaccati e arrugginiti e la linea di sorpasso sull’asfalto che, quando c’è, sembra essere vagamente storta, ci fanno pensare che la direzione verso il Bel Paese è quella giusta. Anche in caso di nebbia fitta.
indicazioni
Voi non ci crederete, ma avendo scommesso con un amico
in merito all’esistenza di questi due cartelli,
m’è toccato tornare in Svizzera a rifare lo stesso giretto, apposta,
per portarmi a casa questa foto.
Questa volta pioveva, quindi la foto non è un gran chè…

venerdì 24 agosto 2012

I ghiacciai esistono ancora o sono solo nelle cartoline in bianco e nero?

escursionismo
Possibile che tutte le curve e i tornanti siano sempre e solo a sinistra??

L’inferno del disfa/rifa bagagli è un ricordo lontano e siamo in montagna, finalmente. Siamo saliti di quota, ma la temperatura è ancora a livelli estremi. Siamo quasi a 1300 metri compiuti ma il venticello della vallata, quando e se c’è, somiglia ad un phon con il pulsante bloccato su “hot” e si potrebbe cuocere un uovo sodo sul cofano della punto. Tutto si scioglie e si squaglia e la cosa preoccupante è che ghiacciai, torrenti e laghetti alpini li vedi solo nelle cartoline in bianco e nero.
E allora, alla ricerca disperata di una temperatura da sopravvivenza…si sale ancora di quota. Combattere la gravità ha del faticoso, ovviamente. Ogni volta che devo trasportare, oltre alle masserizie nel mio zaino, anche la ciccia depositata sopra i miei muscoli, mi ricordo i buoni propositi sull’astinenza (diciamo “moderazione”!) da focaccine/patatine/dolcetti/liquorini… Poi c’è la discesa e il rientro a casa; la fame compulsiva da piranha ha il sopravvento e tutti i buoni propositi finiscono in un brutale oblio, diluiti in bicchierozzi di birra fresca e taglieri di salumi e formaggi tipici

pozze d'acquaOgni anno sembra sempre un po’più dura: sono io che ho una primavera di troppo oppure sono i sentieri sempre più in salita? L’altro giorno siamo ritornati in uno dei posti di sempre: un torrente con diversi salti verticali, con le relative cascatelle che si tuffano in pozze d’acqua verdissima.Generalmente risaliamo scavalcando e arrampicando sui massi con una corda fino dove il percorso diventa praticamente inaccessibile; alcuni pezzi li facciamo a mollo, guadando da una sponda all’altra, approfittando per un bagnetto fresco. Quando il bagnetto inizia ad essere “troppo” fresco è ora di pensare alla via del ritorno (come con le cartine tornasole, il “troppo fresco” si stabilisce sulla base della tonalità di violaceo delle gambe). 
risalitaQuest’anno, complice il caldo, ho raggiunto lo stremo della fatica fisica della salita quando ancora il colore delle nostre gambe somigliava a quello della pelle di un bambino. Forse siamo saliti più in alto di sempre, ma quando siamo arrivati a casa io ero a pezzettini disallineati e mi sono consolata sul solito tagliere. Devo ancora capire se sono io che sono troppo “datata” per fare certe cose oppure se basterebbe limitare o modificare il mio modo di ingurgitare schifezze nel tentativo di placare il mio appetito da t-rex tenuto a dieta.
Non contenta, il giorno dopo abbiamo preso armi e bagagli e siamo andati a dormire finalmente al fresco, quota 2000, sotto un cielo fitto fitto di stelle. Solita lampada a petrolio per illuminare (so che i led sono molto più comodi, ma come si fa a leggere un libro sulle avventure nella foresta con… una lampada “a led”??) e, com’è giusto che sia, un sacco a pelo imbottito anziché un lenzuolo nel quale arrotolarci in cerca di un angolo ancora fresco del letto. Alla mattina siamo scesi al solito laghetto (che quest’anno è ridotto ai minimi termini) per un tuffo rinfrescante e dopo una giornata di sali e scendi ci siamo ritrovati a casa. Da allora ho il collo che pende a destra e il gomito sinistro che fa cric-croc. Lì la dieta non c’entra e questo è un pensiero molto triste. Un remoto angolo del mio cervello giustifica l’accaduto con il fatto che…non ho bilanciato bene lo zaino; forse, contro ogni logica, c’erano solo curve e tornanti a sinistra che hanno sbilanciato l’andatura… ma come scusa suona un po’debole. Lo ammetto.
Per non parlare poi dei miei girovagare su e giù in bicicletta: in salita, un po’pedalando, un po’camminando, riesco in qualche modo ad arrivare da qualche parte (in genere le mie mete preferite sono rifugi o malghe con torte burrosissime e cioccolate dense con il cucchiaino che sta in piedi sulla montagnetta di panna prodotta dalla loro Lola; come ogni asino che si rispetti, anch’io ho la mia carotina…); sarebbe divertente la discesa, se non fosse per il fatto che ad ogni sasso, mi sento sobbalzare come in un moto ondoso perpetuo, che dura anche la settimana successiva. Alla fine del percorso, le frequenze incrociate di tutte le onde provocate da tutti i sassi sono più simili ad una forte scossa elettrica che ad un idromassaggio…
Ma io non demordo. Domani ho in mente un giretto in Svizzera. Spero che l’ordine maniacale dei locali abbia prodotto solo ed esclusivamente curve a destra, così forse mi raddrizzo.

LINK: il portale dell'escursionista
LINK: uomini e montagna, che cosa mettere nello zaino

martedì 21 agosto 2012

La vacanza è la parte in mezzo tra le due fasi “prepara i bagagli” e “disfa i bagagli”

smistare
CASA AL RIENTRO VACANZE = deposito di mucchi di oggetti da lavare e smistare.
È molto comodo per chi, entrando qui dentro, avesse con sé un canguro con una grande nostalgia per le dune australiane. Ma non conosco una gran folla di persone che possiedono canguri che soffrono di nostalgia….

Ogni anno in vacanza ci sono due fasi “durissime”: la prima è la partenza (recupero masserizie utili e pulite, acquisti costosissimi dell’ultim’ora per le cose indispensabili che “l’anno-scorso-sono-sicura-di-aver-messo-lì”, assoluta incompatibilità volumetrica tra il vano bagagli e le borse); la seconda è il rientro. Si può concludere che se “la parte in mezzo” tra partenza e rientro è meno che “grandiosa”, il bilancio risulta in perdita netta.
Il rientro in genere avviene in una delle due condizioni: o si smanetta nel portabagagli sotto il diluvio universale perché era da mesi che si era dimenticato di piovere, oppure il termometro segna ancora implacabile i 40°C all’ombra e si desidera solo l’aria condizionata dell’ufficio. In entrambi i casi, al rientro la visione del portone di casa nostra è una specie di fumogeno che ci costringe di botto a smettere di sonnecchiare sul sedile dell’auto con il condizionatore a manetta; quando si ha finito la lunga e noiosa discussione sul tema “chi ha messo via le chiavi di casa, dove le ha messe?”, finalmente si può scendere e, aprendo la portiera, si intuisce che il termometro che segna la temperatura esterna all’auto non era rotto: ci si trova davvero in una specie di forno da pizza (o peggio, se è da due chilometri che si scatenano i monsoni, ci si trova sotto una specie di getto da autolavaggio); e in queste condizioni ci aspetta di scaricare una montagna bagagli strizzati in un vano troppo minuscolo; e questo non è ciò che si può considerare “finire in bellezza la vacanza”. E se poi sui sedili posteriori si hanno dei marmocchietti che ronfano beati, va anche aggiunto il teletrasporto-figli, che include un solenne frigno da esigenze immediate e persistenti dal titolo “ho-fame/ho-sete/ho-sonno”. Per fortuna nel mio caso gli eredi sono già più grandicelli e questi sono incubi ricordi lontani, di cui non sento particolare nostalgia. Rimane la faccenda dei bagagli: un tappeto sconfinato di borse, più o meno luride o accartocciate, destinate a rimanere in mezzo al passaggio per ore (e non sempre “l’ora” è l’unità di misura più appropriata), sopra la polvere e sotto le ragnatele che nelle settimane di assenza hanno preso alloggio a casa mia.
La lista “da fare”, man mano che i bagagli vengono depositati in casa, si allunga con la velocità del nostro debito pubblico ed emotivamente, questa è una cosa che non fa stare sereni. So che mi lamento a pancia piena, ma generalmente noi, dopo aver trascorso un po’di tempo al mare, ricompattiamo borse e borsine per un’altra vacanza in montagna. Come dicevo prima, la parte “in mezzo” è grandiosa, ma la fase “partenza” e la fase “arrivo” necessitano di braccia da condannati ai lavori forzati con l’organizzazione teutonica di un gendarme. Incrociando le fasi “rientro dal mare” con la fase “partenza per la montagna”, inevitabilmente si ingarbuglia tutto in movimenti contraddittori insiti nella natura stessa dell’attività “disfa bagagli/rifa bagagli”. Si inizia una produzione prolifica di mucchi di oggetti, distribuiti variamente per casa, che teoricamente avrebbe lo scopo di suddividere per categorie di smistamento ed utilizzo, tanto per evitare di portare in montagna pinne e boccaglio. I mucchi sono il mio incubo diurno e si installano come virus nei miei programmi onirici di notte. In queste condizioni, in breve il caldo ha la meglio, la lista “da fare” diventa più lunga dei rotoloni Regina e, generalmente, già al punto “1” perdo ogni speranza mentre mi accascio lentamente sui miei mucchi.
Uno dei lavori che detesto maggiormente è il lavaggio della tenda e di quanto essa contiene: l’ombra della grande quercia sarà anche una figata, ma il paciugo di resina e salsedine ha il vizio di appiccicarsi ovunque (per l’anno prossimo proporrò querce finte in plastica ecologica); inoltre la sabbia si insinua dappertutto e fuoriesce da tutti i posti più assurdi: si potrebbero eliminare tutte le cave di sabbia se qualcuno si prendesse la briga di venire a casa mia con un aspirapolvere gigante dopo che sono stata al mare.
In tutto ciò le zanzare sembrano le uniche abitanti felici di questo posto infernale, in sintonia con il caldo da palude.
A chiunque non sia chiaro come in un algoritmo funzioni il loop del “go to” può venire a casa mia a vederlo dal vivo: si preleva dal box un buon numero di borse/valige/borsoni, fintanto che le energie non danno forfait; poi si procede trasformando la casa in un immenso deposito di mucchi da lavare e smistare; quando si sono esauriti i borsoni, si torna al punto “1” dell’algoritmo, ricominciando tutto daccapo. In pratica si finisce per avere la casa relativamente libera e con i mucchi sotto controllo solo di notte, dopo una lunga e intensa giornata di lavoro; appena ci si alza dal letto, ci aspettano i lavori forzati per un’altra impegnativa produzione di mucchi. E detta così, è vagamente demotivante. Nelle giornate “disfa&rifa” continuo ad avere in testa i prigionieri nelle navi: quelli sbucciano patate tutto il giorno. Da seduti. Insieme, chiacchierando tra loro e cantando. Mi piacerebbe che ci fosse qualche nave sotto mano che volesse prendersi la briga di tenermi prigioniera per un po’. Ovvio che il mio appello non riguarda i pirati; ho piuttosto in mente le imprese epiche dei primi del ‘900, quando Shackleton guidava il suo Endurance tra i ghiacci del Polo, meta ancora inesplorata. …Ripensandoci, però forse meglio cercare qualche impresa più facile: in questo momento, la cosa più attraente di un’avventura tra i ghiacci è l’associazione con le temperature di quelle parti, perché l’idea di passare nove mesi a zonzo tra le terre di Coats probabilmente renderebbe attraente persino fare la cavallina tra i miei mucchi. Invece i mucchi, dal punto di vista dei figli, credo siano vissuti come comodissime trincee dove nascondersi per evitare compiti delle vacanze e faccende varie. Solo loro riescono a vedere sempre e comunque il lato vacanziero della cosa. Io invece, date le condizioni e le premesse, ho la pretesa che la parte “in mezzo” della vacanza debba necessariamente essere strepitosa. Personalmente tutti mi trovano in forma smagliante al mio rientro per poi tornare aggrinzita e ricurva lontana dallo iodio.
Insomma, la fase disfa/smista/lava/rifa-bagagli è una delle fasi più impegnative dell’estate ed è la scusa che mi serve per potermi rimpinzare di pizzette e focaccine senza ritegno, sapendo bene di evaporare tutte le energie accumulate solo nel punto “1” della mia dannata lista.

venerdì 17 agosto 2012

Versione LOB (Libro-Ombrellone-Bibita) o versione NaSA (NAtura Selvaggia e Avventurosa)?


vacanze
L'ozio in vacanza
C’è un sacco di gente che la vacanza la sogna pensando a lunghissime dormite sulla sdraio con bicchiere di bibita, libro, ombrellone e profumo di piadina calda. L’attività più frenetica prevista è lo zampettare sulla sabbia bollente tra un’isola d'ombra e la successiva per raggiungere il chiosco “bibite & pizzette”. E in questi casi è facile: l’ozio non è un’attività particolarmente impegnativa e, con un piccolo budget, i camerieri sono fatti apposta per appagare ogni esigenza di questo tipo. Rimane, come unico grande problema da risolvere, la scelta del buon libro o della rivista da portarsi nella borsa da spiaggia. Meglio se il libro è anche un po’soporifero, in modo da… accelerare i tempi! Se in cinque o dieci righe l’obiettivo è già raggiunto, allora il libro è quello giusto.
Io no. Io quando ho più di un muscolo inattivo inizio ad avere un surplus di adrenalina che mi devasta il cervelletto. Se passo più di due minuti di inattività mi si arricciano i nervi e divento ancora più insopportabile del solito (a meno che l’inattività sia una faccenda “contemplativa”, che includa un buon bicchiere di limoncello da stringere tra le dita). E la cosa tragica è che le attività che prediligo non sono attività che trovi dietro ogni angolo, ma necessitano almeno un pizzico di avventura. Niente pizzi e ricami, niente biscottini al forno: traversate, risalite, percorsi sono le occupazioni che mi accendono; quindi non mi basta fare un salto al super per fare il pieno di lievito e farina, o una gita fino l’edicolante all’angolo per tornare soddisfatta con enigmistica e giornale.
Quello che in genere mi occorre comprende una lista un po’più complicata: mi serve un promontorio che si affacci su un ampio golfo blu e mi permetta di controllare la situazione dall’alto; possibilmente un torrente fresco con qualche pozza d’acqua profonda e azzurrissima, corredato da qualche roccione da cui tuffarsi; al largo dal caos della spiaggia, è comodo avere un’isola da raggiungere in qualche modo, che abbia un fondale ricco e colorato e, meglio, qualche buchetto tra le rocce, dove cercare colori perlacei e sentirsi dentro il rumore dei flutti; un buon campeggio dove le piazzole consentano lo stretto contatto con la natura (in molti campeggi, gli spazi sono tali che “lo stretto contatto” avviene solo con i vicini di tenda); poi occorre una lampada a petrolio per addormentarsi con un buon libro mentre i rumori del bosco fanno da sottofondo hi-fi.

costruzioni campeggio
Questo sarebbe poi diventata la doccia da campo
Da ultimo è necessaria una boscaglia a portata di mano dove raccogliere materiale “di arredo”: tronchi, rami e rametti mica li trovi al banco frigo dello spaccio sotto casa! (ovviamente non sto parlando di devastare un bosco: sto parlando di “ripulire” una boscaglia da ciò che madre natura ha già scartato e fatto precipitare rovinosamente a terra: si tratta di prendere ciò che è già a portata di mano e che può risultare di massima utilità; anche le pigne dei pini marittimi sono profumate e possono avere diverse funzioni; e le carrube, se assemblate con un po’di coreografia, sono ottime finiture ornamentali; non penso che abbiano altra utilità per nessuno, madre natura compresa: qualcuno ha mai risolto il quesito, diffuso tra i frequentatori della Liguria, “a che cosa servono le carrube?” Bo??).







costruzioni campeggio
Il primo "mattone" del tavolino sull'albero

Il tavolino di tronchi sull’albero è indispensabile per consentire ai figli di sopportare il peso dei compiti delle vacanze. E fanno pure a gara per salirci e usarlo! Poi c’è l’angolo della doccia da campo (il sacchetto nero che si appende e si scalda con gli UV) con tanto di appendini per gli asciugamani e portasapone intagliato. C’è la classica altalena, l’appendiabiti, il porta-masserizie e tutto quello che la creatività amalgamata con la funzionalità riescono a produrre, con ciò di cui la boscaglia non sa che farsene.




Tabur Jack II
La Tabur Jack II vista da fuori bordo
Io sono anche riuscita a recuperare una vecchia bagnarola (ha il tipico aspetto di un “tappo”, più che somigliare ad una “barca” vera e propria. Ma sta abbastanza a galla e questo è quello che mi serve). La “Tabur Jack II” (questo è il suo nome, inciso a grandi lettere nella plasticotta arancione) è la barchetta di Fantozzi: quella grigia e arancione, che l'intramontabile ragionier Ugo portava al mare, montata sul portapacchi, sopra al tetto della bianchina. La sua però aveva il motore, mentre la nostra ha un fazzolettone bianco che serve per andare con il vento. I miei figli chiamano il “cosone bianco” che sta a prua, pomposamente con il nome di “vela” (e tutto sommato, serve proprio a quello).

Bene, capita generalmente che da quelle parti, il vento spinga di traverso, parallelamente alla costa, in modo che sia comodo da sfruttare per raggiungere l’isola Gallinara; sembra fatto apposta sia per l’andata sia per il ritorno; e in alcuni giorni di vento forte ci si diverte come pazzi (è anche capitato che ci tradisse, calando di colpo e dovessimo elemosinare un passaggio al traino da qualche pescatore).

E da ultimo, il mio primo erede, appassionato di bike trial, trova che i massi del porto siano l’ideale per divertirsi a saltellare con la sue due ruote.


scogli
La produzione fotografica è gentile concessione della Pomella’s sons.
(solo loro sono capaci di mantenere il sangue freddo nei passaggi più difficili senza urlare e concentrandosi solo sul mirino; a me le foto vengono sempre mosse perché a vedere il mio bambino saltellare lì sopra mi viene una fifa blu e tutte le mie forze sono impegnate in un training autogeno, anziché nell’inquadratura giusta)
Insomma, ecco gli ingredienti per la mia vacanza ideale. Ed ecco perché ogni anno torno sempre lì.

venerdì 10 agosto 2012

Le difficoltà geometriche della Liguria sono solo il “lato B”. Esiste anche un solido e robusto “lato A”.

Anche i posti più assurdi, con un po’di fantasia possono diventare un luogo magico per arricchire lo zaino di ricordi indimenticabili.
A proposito di posti assurdi: la Liguria è fatta con una serie di rocce a picco sul mare; detta così sarebbe affascinante, se non fosse per il fatto che in anni di speculazione, siamo riusciti a inserire in un tratto di costa largo come il mio fazzoletto, una ferrovia, l’Aurelia, l’autostrada, una lunga serie di spiagge, paesini intervallati da serre e serre intervallate da paesini. Una lunga e stretta striscia di invasione umana, accatastata alla rinfusa e a ridosso sul mare.

rocce a picco
Lista del materiale occorrente
per formare la costa ligure
Le spiagge: la sabbia è una rarità e per portarcela devi usare ogni anno i camion, che fanno da tappo alla solita, sempre lei, Aurelia-monocorsia-tante-curve-e-lavori-in-corso. Se la mini-spiaggia ha la sabbia, il suolo ha un costo al metro quadro pari al valore di un appartamentino in Costa Azzurra. Se la sabbia non c’è, si stende l’asciugamano su un pezzo di terra e sassi. In questo luogo di amena serenità, per fare i dieci metri che ti separano dalle onde, occorre chiedere “permesso” almeno dieci volte; chiaramente, poiché la geometria detta leggi esatte, se in un fazzoletto di terra, confinato dalla ferrovia alle spalle e dal mare di fronte, si intendono ospitare i turisti che provengono dal nord Europa, i piemontesi, i lombardi e qualche altro curioso, per forza di cose si deve ipotizzare il “multistrato”; per passare, le prime cento volte si chiede “permesso”; dalla centouno in poi si è presi dalla monotonia e la buona educazione lascia il posto alla noia della ripetizione.
Ovviamente è proibito giocare a palla; dico solo “proibito” e non “impensabile” perché quando si ha meno di quindici anni, si è in una spiaggia e si hanno altri coetanei simpatici con cui dividere la vacanza, si riesce anche ad organizzare partite agguerritissime sulla pancia dei turisti.
E’ un problema geometrico: se tutta quella gente “non ci sta” in una terra così ridotta, per forza di cose è indispensabile regolamentare tutto, giusto per una questione di sopravvivenza; ad esempio occorre regolamentare il parcheggio, che ovviamente è insufficiente per ospitare tutti, pertanto “regolamentare il parcheggio” significa essere perennemente in contravvenzione, oppure ricorrere, quando ci sono, a spazi costosissimi. E questo è il “lato B” della faccenda, che ha contribuito pesantemente a mollare a casa il capo famiglia il quale, dopo aver esaurito la sua forza fisica e mentale a caricarci l’auto con armi e bagagli, ha espresso le sue ultime briciole di forza per salutarci con il fazzolettino dal cortile dei box mentre si fregava le mani pregustandosi la “vera” vacanza con casa libera, orari a caso e rutto libero.
Noi invece siamo partiti per il mare, sognando il “lato A” della Liguria. Stando un po’attenti e con una spesa ridotta, si può godere di luoghi davvero incantevoli, lontano da tutto. Gli scogli nerissimi contrastano con il blu del mare profondissimo, che spruzza direttamente sulla faccia di chi riesce a stare in bilico sulle rocce appuntite. Anche il granchietto che, saltando fuori dagli scogli ti salta sulle ginocchia ha il suo fascino. La natura prorompente vince sulla siccità e sulle asperità del luogo, sulle cui rocce trovano alloggio le radici di macchie di colore profumatissime: gialle ginestre, bouganville violacee e oleandri in technicolor riescono ad accomodarsi talmente bene che sembrano invasori infestanti e te li ritrovi dappertutto.
L’entroterra è fresco e rigogliosissimo; i ruscelli creano pozze d’acqua blu dove è impossibile trattenersi da qualche tuffo. Il profumo della terra e degli ulivi contorti lo ritrovi in tavola, dove l’olio, da solo, è in grado di trasformare un hamburger in una prelibatezza.
Ma il vero jolly di quelle terre sono i liguri: in moltissime occasioni abbiamo avuto riprova che sono tutti disponibili ad adoperarsi per risolvere ogni tuo problema o, nel caso, si danno un gran daffare per coinvolgere amici o conoscenti che hanno la chiave giusta per aiutarti.
Insomma, le poche settimane per scoprire il “lato A” sono sempre troppo striminzite, per quanto sia il loro numero; e, per quanto riguarda noi, quando dobbiamo fare armi e bagagli per tornare a casa, l’operazione prevede sempre una profondissima tristezza; da anni. Ed è stato così anche questa volta, quando, verso metà luglio abbiamo dovuto salutare quella che è stata “casa nostra” per quasi un mese.

giovedì 2 agosto 2012

Partire = esplodere in un interminabile litigio con il vano portabagagli. Ecco com'è andata:

La partenza è stata di quelle più classiche: tempi strettissimi per organizzare tutto (già il verbo “organizzare” intimidisce di suo; l’attributo sul tempo, che è “poco”, “ridotto”, se non addirittura “striminzito”, mette la ciliegina sulla voglia della parte “pre”-vacanza). Dopo i bucati di rito per disporre di tutto l’occorrente che deve essere imbustato e impacchettato in una valigia, possibilmente sotto vuoto e con un sistema che produca assenza di peso, si passa alle discussioni interminabili con lo spazio disponibile nel vano bagagli; io ho una punto e il carico (degno di una nave da cargo), è tale per cui le ruote erano "lievemente" orizzontali. Il lato positivo (occorre sempre considerare la faccenda del bicchiere mezzo pieno!) è che la punto somigliava esattamente ad una navetta spaziale, con le ruote orizzontali che sporgono come le ali degli sgusci di Star Wars.
viaggio
Per inciso: la barca, capovolta sul tetto, nasconde una quantità di bagagli compressi inenarrabile e un paio di figli sono dovuti farsi il viaggio in treno per mancanza di volume disponibile.
Questa sopra è stata la partenza da un box, prestato da amici, per contenere l'incontenibile!
Mèta: una costa verticale a picco sul mare; terrazzamenti colmi di ulivi i cui rami attorcigliati somigliano a sculture scolpite da Madre Natura; scogli nerissimi che contrastano con il blu del mare profondissimo; profumo intenso di gelsomino, salsedine e focacce appena sfornate nei carugi; colori sgargianti delle bouganville, delle ginestre e degli oleandri; insomma, la Liguria.
Occorrente: una tendina igloo da aprire sotto la grande quercia che si sporge sul golfo, una barca a vela grande come il mio fazzoletto, un’isola con le rocce a picco da raggiungere grazie ad un buon vento traverso. Sto parlando della Gallinara.
E’ così che è cominciata, un mese fa, l’avventura di quest’estate…
vela
La ciurma normalmente prevede altri due mozzi, che sono "al di qua" della macchina fotografica 

venerdì 22 giugno 2012

…Ma non ti conveniva…?

mare
RELAX
Copyright richiesto ad Andrea, autore del "graffito" (costo: 4 gelati e qualche coccola)
Mi hanno proposto tante alternative per l’estate.
Ma dopo numerosi tentativi a cambiare paesaggio, penso che anche quest’anno non riuscirò a farcela e tornerò, come sempre, nei soliti posti.
Prima puntata in Liguria. La sensazione atavica di fatica ad inseguire i figli dappertutto, i quali anni fa erano piccoli e si allontanavano di continuo (apposta!) in direzioni divergenti, ora è un ricordo lontano. E non provo la minima nostalgia!
Ora sceglierò il confort dei tetti di eternit delle baraccopoli del bel golfo: ci avevate fatto caso che i liguri nutrono una vera passione per il riciclaggio delle cose più brutte del pianeta? Le raccolgono con grande scrupolosità, se serve le fanno arrugginire un altro po’e poi le piazzano in bella mostra sul belvedere. Hanno una vera fissa per tralicci dimessi, antenne cadute, motorini arrugginiti, gomme esaurite; tutto si trasforma in un vasetto per gerani che, accanto ad un agave, ti impedisce di sporgerti e ammirare in pace la rete arancione dei lavori in corso al porto.
Ora potete scatenarvi: vi ho praticamente dato il mio benestare al classico e un po’petulante “…ma non ti conveniva…?”.
Questa è la frase tipica di introduzione utilizzata dagli amici migliori, che in virtù della loro saggezza hanno a cuore la tua sprovvedutezza e ti riempiono di consigli.
E’ una frase passepartout per ogni occasione e apre ogni possibile scenario: ti sei lasciato sfuggire il fatto che un mutuo di cinque anni dura meno rispetto ad uno di trenta, nonché hai dimenticato di considerare che un’utilitaria è molto meno spaziosa di una monovolume-come-la-loro e certamente la tua vacanza ideale è un’insieme di fastidi che non hai valutato attentamente, rispetto ad un confortevole soggiorno alle Hawaii.
Ora avete tutte le carte in regola per esprimervi con i più variopinti “…Ma non ti conveniva…?”
Commentate pure… Commentate…
Io intanto ho il mio da fare a rispolverare una vecchia bagnarola con una vela grande come il mio fazzoletto, un carrello appendice da agganciare alla punto (la mia “ammiraglia”), e cercare il petrolio per la lampada che illuminerà le nostre serate sul promontorio, nel bosco del campeggio sul golfo ligure, mentre ci racconteremo storie raccolte dalla biblioteca di Albenga.
Quando tornerò (…quando tornerò?? Tornerò?? Credo che prima o poi dovrò anche tornare…! Che triste pensiero…!) leggerò con estrema attenzione i vostri commenti e ne farò tesoro per l’estate prossima.
…Promesso!
 Poi sarà la volta della seconda puntata; e non sarà più al mare

venerdì 15 giugno 2012

Concerto pianoforte


I saggi di fine anno contano una lunga serie di difficoltà.
A partire dal parcheggio


pianoforte
Ansia sotto i riflettori

Finalmente si è concluso l’anno e gli ultimi giorni di saggi e feste e pizzate con la classe sono “davvero” gli ultimi giorni.
Questi sono i giorni dove si piange di più: quando si conclude un ciclo scolastico gli addii sono un po’faticosi, anche per chi, come noi, abita in un paesello e sa benissimo che pure non ritrovandosi in classe tutti i giorni, ci si incontra di continuo alla gelateria sotto casa; poi ci sono mamme e nonne facili all’emotività, che si sciolgono in lacrime di commozione davanti alle recite di fine anno. In sintesi: giugno è il mese dei nasi rossi.
Quindi, è terminata la follia dei multi-impegni accavallati in modo convulso.
È cominciato il periodo dei multi-impegni accavallati in modo convulso e disordinati nella giornata, priva di limiti e orari scolastici.
Se non inventano a breve il dono dell’ubiquità, li costringerò a inventare un sistema per farci partorire figli già auto-muniti.
Ma la maratona è quasi alla fine: manca all’appello solo un esame di pianoforte di uno degli gnomi e poi ci siamo.
Nel frattempo siamo riusciti a spuntare dalla lista “da fare” il saggio della scuola di musica. I saggi di musica, come i saggi di danza o pattinaggio o che-so-io, hanno più o meno le stesse caratteristiche: la sala molto più affollata di quanto lo gnomo non si sia immaginato e tanto basta per far diventare paonazze anche le guance più slavate o paffute o abbronzate che siano.
Poi, a turno, ciascuno sale sulla pedana ed esibisce il suo pezzo. Le luci sono fatte in modo che sia ben chiaro ed evidente che il protagonista del momento è quello con le guance paonazze. E queste luci sono fatte apposta per acutizzare l’insopprimibile desiderio di sprofondare sotto il pavimento dentro una voragine e riparlarne in altro spazio-tempo.
Ora facciamo un cambio di scena; voltiamoci a guardare nel buio della platea.
Non manca nessuno: la nonna che ci vede poco e la becchi ad applaudire e sussultare per il bambino sbagliato; i fratelli assistono concentratissimi sul game boy che li tiene buoni fino al momento topico; un papà inizia ad agitarsi: è l’incaricato ufficiale della famiglia per le foto-ricordo ma dalle sue smorfie si intuisce che sia cascato in una delle tre alternative: la macchina fotografica è rimasta a casa; le pile sono scariche; la memory card è al completo. E a quel punto il copione prevede, immancabili: una discussione con la moglie per stabilire esattamente di chi sia la colpa e la ricerca di una mamma organizzata che abbia macchina fotografica, pile cariche e faccia qualche scatto in più. In genere questa mamma è riconoscibile anche al buio, per il suo aspetto impeccabile da super organizzata e spesso suscita pesanti sentimenti di frustrazione in chi le sta accanto e deve dipendere da lei per qualche favore (chennervi!). Non manca poi un papà che entra in ritardo e goffamente cerca di non dare nell’occhio, approfittando del buio della sala; però in genere l’ingombro di tutto il suo bagaglio pc/valigetta/giacca/ombrello lo fa inciampare nei gradini insieme all’ingombro del suo senso di colpa per il ritardo. Ritardo che, per altro, penalizza proprio i più ritardatari con un parcheggio ormai stracolmo; e mentre si cerca di far entrare un suv in un parcheggio per ciclisti, cresce l’ansia a pensare che mentre si fanno inutili e faticosissime manovre, basterebbero pochi metri per goderti il tuo bambino.
Poi i pezzi cominciano e tutto procede; nonostante tutto. C’è chi è impeccabile e non sbaglia nulla; c’è chi non lo è ma ha il gran fegato di proseguire. Non so voi, ma io vado in brodo di giuggiole per gli applausi d’incoraggiamento, che preferisco di gran lunga rispetto all’applauso per il pezzo perfetto.
…Bravissima Roby!

giovedì 14 giugno 2012

CRISI


equilibrio
Se ci stiamo un po'a pensare...

Crisi: considerazioni semi-serie.


Sabato 9 abbiamo partecipato al MammaCheBlog, riunione di blogger a Milano, dove guru in materia ci hanno generosamente rimpinzato di fondamentali consigli. E tutte abbiamo già più o meno scritto note entusiastiche. Ma ora, dopo le prime emozioni di pancia (e non solo in merito al ricco buffet), mi vengono due considerazioni meno “colorate” ma più di testa. Abbiamo tutti preso nota di qualche trucchetto per sopravvivere alla dura selezione naturale dettata dal SERP e per far crescere i numeri sulle visite del blog. Benissimo. Scopriamo che non c’è nulla di strabiliante: la maggior parte dei trucchi non sono dettati da arti magiche, bensì da un sano buon. senso.
E questo mi sembra davvero grandioso.
Non che il semplice e spicciolo buon senso abbia qualcosa di geniale in sé, ma trovo rivoluzionario il fatto che il meccanismo stia finalmente guarendo. Dopo una lunga malattia, finalmente ci stiamo liberando da furbi e furbetti, per una virata verso contenuti da premiare, chiarezza nei rapporti e onestà!
E hai detto niente…!
Chi pensa di strapazzare i clienti per arricchirsi su false pubblicità o chi spera in guadagni facili, vede la sua larga strada spianata trasformarsi in un vicolo cieco. Ovviamente non parlo solo di blog!
E ora un pensierino sulla crisi: quando si arriva al fondo del barile, il contenuto diventa oggetto prezioso di ricerca. In tempi di vacche grasse, il contenuto si mimetizza più facilmente con i fiocchetti che agghindano un bel contenitore….vuoto!
La crisi, per forza, deve essere affrontata con uno spirito di rinnovamento, con idee geniali che vanno implementate con lavoro, passione e tanta fatica. Moltissimi hanno l’idea geniale; pochi hanno la forza implementativa che la trasformi in una macchina di lavoro vincente.
Detta così, sembra che ci si debba augurare una bella crisi tutti i giorni…!
In realtà, ogni crisi che si rispetti è, sì, un setaccio che scompagina le vecchie logiche e demolisce i vecchi poteri forti (…ed era ora!) ma è anche un katerpillar che fa terra bruciata con tagli che non sempre sono proprio “chirurgici”. Tutte le crisi accompagnano piccole o grandi rivoluzioni e le rivoluzioni fanno paura e mietono vittime, spesso innocenti. Ma il lungo periodo nel quale si era esagerato con un pienone di squilibri e insensatezze avrebbe prima o poi chiesto il conto. E ora ci siamo.
Quale può essere il motto di questo periodo di crisi, dunque?
“Vinca il migliore e buona fortuna a tutti”.
Vista così, mi mette addosso un’orrenda ansia da prestazione, dalla quale mi viene istintivo scappare a gambe levate; ma credo che sia un po’il lato B di tutta la faccenda “rivoluzione-crisi”, con cui dobbiamo avere a che fare; e, con il giusto equilibrio, questo motto non va perso per strada.


mercoledì 13 giugno 2012

Una giornata al "Mamma che blog"


showcase
...E mettiamoci in gioco, allora!


Scopo: un incontro con tante blogger, tutte al femminile (per una volta le quote rosa sono al completo!). Mariti, figli, papà erano solo un dolce contorno a dare man forte e rallegrare l’ambiente, in un difficilissimo (da equilibristi!) mix con famiglia e nani.
Chi è più esperto suggerisce, stimola idee, racconta. Nessuna cattedra: quelli "tosti" sono comodi comodi su un divano. Ed è giusto così, basta lezioni frontali: non vengono più seguite neanche a scuola! Questo finalmente è il secolo della partecipazione allargata, ognuno con il suo contributo, grande o piccolo che sia. Dal confronto nascono  nuove idee. Tutti sono chiamati a partecipare e mettersi in gioco.
Io per la verità di contributo non ne ho dato moltissimo: è da due mesi che navigo qui in mezzo e sono ancora alla disperata ricerca di salvagenti... quindi ringrazio i “guru” che hanno pazientemente passato la giornata a darci retta.
Mi chiedono che cosa mi è piaciuto; la lista è lunga, quindi do solo i titoli: lavoro, serietà, professionalità, festa, organizzazione, collaborazione, idee, spunti, consigli, allegria,... Per i sottotitoli, ci incontriamo in uno spazio più grande. Difficilissimo dire che cosa non mi è piaciuto... Ah, sì ecco: la coda alle bevande (avevo una sete bestiale in quel momento...!).
Ecco che cos’è stato il Social Family Day del 9 giugno aMilano
E poi lo “showcase”: un tubo nero di guarda, tu guardi lui con un microfono in mano e quando scatta il momento tu parli. Poi il tutto viene riprodotto in rete. Alla faccia del mettersi in gioco! Questa volta sono “persino” sopravvissuta; la prossima volta andrà anche meglio e spero che non sia più così utile la bombola di ossigeno per riattivare le coronarie a cosa fatta.
Il prodotto finale delle riprese, se volete andate a pescarvelo qui, su Donna Moderna:
Se invece avete problemi di audio o fosse difficile caricare il video, è più facile seguire quanto ho trascritto qui sotto:


Perché un blog? Perché è divertente. Ecco perchè.
Probabilmente anche per spirito di contraddizione verso i miei insegnanti: ricordo ancora che alla maturità si sono assicurati non scegliessi lettere perché secondo loro non scrivevo in modo abbastanza “serio”. Quindi mi sono divertita sui libri di fisica.
Ora però mi diverto a scrivere. E non sempre in modo “serio”.
Fino a tre figli fa, inseguivo anche un “lavoro”, di quelli tipo… ti chiedono di fare una cosa… tu gliela fai… il conto in banca non è più così in rosso…Eccetera.
Fino a tre figli fa. Poi però, ho ceduto.
E nel frattempo mi sono accorta che scrivere è molto divertente e molto liberatorio.
Hai un’idea in testa e finchè non la appoggi su un foglio inizi a fare stranezze; diventa difficilissimo “capire una lista della spesa”, “azzeccare un parcheggio centrando il buco vuoto e non l’auto davanti ad esempio”, “non dimenticare tutto ovunque”, o cose così…
Esiste un solo pensiero fisso: la tua idea. Poi finalmente il mondo si ferma, aspetta che tu scrivi qualcosa e tutto torna normale. Almeno per un po’.
In rete e nel blog si incontra un sacco di gente affascinante, interessante, stimolante, ….ante… che non conosco! Perché è ovvio che non l’ho detto ad amici-parenti&conoscenti! Ma vi pare??
Anche perché nel blog parlo anche di loro: mi piace andare a caccia delle loro piccole manie e mi diverte un uomo quando si impegna nel suo mestiere di marito o nel mestiere di papà e una donna quando prova a svolgere….tutti i mestieri del mondo contemporaneamente.
Ad esempio che gli uomini non sappiano trovare mai nulla è un dato di fatto.
Che un figlio apra il frigorifero, lo fissi attentamente in attesa che un paciugo denso e untuoso gli precipiti in mano… poi lo sguardo si spegne e tonfa nel vuoto cosmico finchè…

ORA SUONA IL MIO CELLULARE CHE AVEVO DIMENTICATO ACCESO (mannaggia! Il tempismo è il sovrano delle leggi di Murphy, tutte sacrosante!)
DRIIIN …oh mamma! Scusate! Ciao. Eh…? No, non ora. Ma, no, cassetto in alto a sinistra. Ma non è vero che non c’è! Se è lì da sempre! Ma lo vedo io da qui! No è verde. No, quello è giallo. Senti oh…devo andare. Ciao. Ciao-ciao.

Scusate… è che, appunto, non ho detto a nessuno che oggi… Infatti lui era… vabbè, lasciamo perdere và..!
Sì, poi gli uomini sono daltonici. Ma di brutto!

Dunque… non ho detto che cosa trovi nel blog. Trovi me.
Mi piace moltissimo l'aria aperta e la vita dinamica.
La vita dinamica l'ha capito e ne ha approfittato, acchiappandomi nel suo vortice di “non-c'è-mai-un-secondo-di-tregua”. Ciao a tutti e bacio.
…vado a capire che cosa riesce a NON trovare quell’uomo lì sta volta…

giovedì 7 giugno 2012

…Caro amico ti scrivo. Ma siccome qui distrarsi non è come dirlo, più forte ti scriverò.

vita moderna
Contro il logorio della vita moderna
Oggi provo da questa postazione a rispondere alle turbe del mio amico Marco, che mi scrive dalla Toscana il suo disagio, grave in questo periodo, per l’aria inquinata da pollini colorati e profumo di gelsomino; soffre del traffico insostenibile di buffi animali selvatici per i sentieri del Chianti e, povereretto, viene tampinato da gente senza scrupoli che offre bicchieri di vino alle cene, succose, in contrada. Poi, riprendendo il suo messaggio su fB, conclude l’elenco delle sue tristi amarezze con un “eccetera”, che da solo, è già abbastanza eloquente per immaginare il proseguire della lunga lista di amenità che colpiscono quei luoghi lontani e (fortunatamente!) abbandonati dalla nostra civiltà padana.
Caro Marco, capisco la tua difficoltà di adattamento in Toscana. L’inquinamento acustico da cicala è il problema più discusso all’ONU di Ginevra; attendono a breve i test effettuati dal Cern per buttarsi in una grande spesa di tappi per orecchie da distribuire alla povera popolazione, ormai disperata.
Non arrenderti: la fine del tormento si avvicina!
Qui noi a Milano, città del Cynar, mentre ci godiamo un meritato aperitivo in mezzo alle rotaie del tram, in attesa che un alieno ci prelevi da un carciofone gigante prima di essere stritolati dai cingoli, stiamo studiando il sistema di posizionare una bella discarica in cima alle pendici delle vostre colline. Poi, visto che il business è concentrato anche sul cemento, abbiamo già i plan pronti per inserire un confortevole viadotto che colleghi tutte le righe pettinate dei vostri vitigni.
Formigoni, lo conosciamo da anni, è un uomo di fiducia: votiamo sempre e solo lui perché siamo sicuri abbia già attivato tutti i suoi canali. Puoi stare tranquillo. Le tue pene finiranno presto.
Se ti manca la fragranza degli NOx sparsi sulle nostre tangenziali, ti manderò la cartolina dei lavori della nostra bella Pedemontana; la nostra Pedemontana è molto più attraente delle altre che, banalmente, sono semplici sentierini nei boschi nella parte bassa delle catene montuose. La nostra Pedemontana è dotata di tutto: aree di servizio, viadotti, ampi parcheggi panoramici e attraversa i posti più belli della Brianza: quei pochi ancora sguarniti di capannoni, finalmente avranno il loro belvedere.
E che dire delle nostre zanzare? Mica come le vostre, che vengono allontanante dal dozzinale profumo di citronella e gelsomino. Le nostre zanzare hanno uno scopo preciso: farci esibire un iPad che attiva gli ultrasuoni. Non farmi pensare alla tristezza di essere privati da una pizza goduta sui tavolini lungo il marciapiede della metropoli, con l’iPad versione ultimo modello in bella mostra al nostro fianco….!
Ti avevo parlato del mio neurone entrato in loop alla domanda istintiva “che ci faccio io qui?” Quel neurone si è disperso nella nebbia delle nostre pianure.  Se riuscirà a sopravvivere, sarà talmente robusto che sicuramente attiverà un focolaio di neuroni impazziti e che mi porteranno via da qui prima che io possa accorgermene. Mi sveglierò in un posto sconosciuto e troverò ai piedi del mio letto una minuscola valigia da disfare. Sarò sdraiata di fianco ad un tizio con la stessa faccia di Paolo ma che non brontola e, anzi, sorride. E i miei tre energumeni in crescita andranno a scuola beati in bicicletta cantando.
Tutto ciò ha del complicato. Non credo che quel neurone sia così robusto da farcela… Ha tutte le probabilità che remano contro…!

LINK: A Milano si vive con l'amaro vero ma leggero!

mercoledì 6 giugno 2012

Alla fine delle feste di compleanno, il recupero dei figli è un’operazione complessa

compleanni
Uomo-fango = cucciolo di sapiens sapiens al parco 

A maggio ci sono le feste di compleanno al parco. Ci sono anche le feste di quelli che compiono gli anni in estate e concludono l’anno con gli amici. Quindi, facendo un rapido conto, solo in compleanni, tra maggio e i primi di giugno si consuma più del 30% delle torte di tutto l’anno.
Le feste di compleanno sono un sistema diverso per chiamare la solita cosa: “giocare a calcio in un prato”.
C’è anche il diversivo del diluvio che si scatena il secondo dopo aver acceso le candeline. Il compleanno di Teo l’anno scorso sarà ben difficile da dimenticare: si è portato avanti a piovere per il prossimo secolo, prima che qualcuno lo accusi di essere causa di siccità!
Poi c’è il solito pallone che finisce sulla cima del solito albero; c’è il solito nano-ragno che si arrampica per recuperare il freesby e attaccare qualche addobbo ai rami più alti per far colpo su qualche bambina “particolarmente bionda” (e far diventare un “particolarmente bianca” qualche madre sotto). Poi ci sono le mamme che corrono verso il banchetto di torta e candeline preoccupatissime di dover dare in mano a qualcuno di “affidabile” il cambio per il proprio bambino (perché lo sapete benissimo che c’è qualche mamma che non porta al parco a giocare il proprio figlio se non ha i cambi dietro). I cambi sono sempre bianchi. E il prato è sempre verde. …Bo?
Poi, dato che gli inviti sono obbligatoriamente distribuiti a tutta la classe, anche il gruppo “femmine”, che siano tutte rosa coi pizzi e trecce o che siano con scarponi da muratore, sono al parco all’ora scritta sul foglietto, più qualche minuto. Le bambine in genere formano un unico gruppetto schiamazzante sull’altalena, che trovi senza ombra di dubbio sul lato opposto del campetto da calcio. Per non confondere le idee… non si sa mai!
Poi c’è la ricerca spasmodica degli ingredienti di tutto….perché c’è sempre il bambino allergico a qualcosa. E in genere il “qualcosa” è l’ingrediente fondamentale in tutto quello che compare sulla tavola. Fortunatamente c’è sempre qualche super-mamma organizzata che tira fuori dalla sua borsetta modello Eta-beta una merendina dietetica, il cui aspetto è un po’triste, ma riesce a cacciar fuori ancora un sorriso sul musetto del bimbetto allergico, perché qualcuno ha pensato anche a lui.
In genere si capisce al volo che qualcuno è appena stato ad una festa di compleanno ben riuscita, dal colore marroncino uniforme del mucchietto di fango, terra, fogliame, rametti che ricopre il bambino che c’è sotto. E questo spesso strato ricopre anche il bambino che ha portato i cambi bianchi: anche là sotto quello spesso strato, c’è un bambino felice, i cui vestiti non torneranno mai più bianchi.

lunedì 4 giugno 2012

2 e 3 giugno con Benedetto 16...o senza?


Ieri, domenica 3 maggio, ci siamo fatti largo tra un torneo, le prove del saggio di musica, una ricerca di scienze da finire e tutte le vitamine da sapere per l’interrogazione di scienze; abbiamo “bigiato” per qualche ora tutti gli impegni e siamo andati “dentro la notizia”, a Bresso, per vivere da vicino il “grande evento”.
Papa Benedetto 16 ha celebrato la “Festa della Famiglia” in Lombardia, alle porte di Milano.
Confesso che il mio primo approccio sia stato vicino ad un lieve fastidio. Ho uno scarso entusiasmo a festeggiare, in mezzo a problemi che sento, questa volta, più pesanti del solito (ovviamente mi riferisco ai fatti di cronaca degli ultimi tempi, nonché della crisi che incombe sulla testa di troppi di noi). Ma se vuoi avere un'opione, è "obbligatorio" formasela, attingendo direttamente dalle fonti. Quindi, in sella alle nostre cinque bici, abbiamo fatto il pellegrinaggio tutti insieme.
In quanto a scarso entusiasmo, sono pronta a confermare che il problema è mio, non della festa: i drammi e le avversità ci sono e ci saranno sempre, quindi non ha senso rimanere in lutto costantemente. La famiglia ha bisogno di particolare attenzione, soprattutto in questo periodo ed è giusto che qualcuno richiami un momento di riflessione dentro uno stacco di gioia, creando l’occasione di una grande festa. Quindi è bello stare insieme ed è importante dircelo, perché ci fa sentire meglio e più vicini.
Ecco perché una festa che, intendiamoci, è stata organizzata proprio bene. Non si può fare una “grande festa sobria”. Mi sembrerebbe poco serio. È come mettere qualche candelina di meno su una torta di compleanno scarsamente zuccherata… in onore alla sobrietà. E, a proposito di torte, gli ingredienti erano quelli giusti di una festa davvero riuscita: tantissime persone, organizzazione perfetta, distributori d’acqua, bagni, gadgets, 1400 volontari della protezione civile solo dalla provincia di Milano. Questo è il contorno. Il piatto forte, naturalmente è il palco con il Santo Padre.
Qui però le cose si ingarbugliano un po’… La crisi dello IOR in questo periodo non dà molto credito a quella parte di persone che, dall’alto del pulpito, dettano i confini del bene e del male.
Personalmente mal sopporto chi, in modo inflessibile, dipinge il mondo in bianco e nero. Mi sento male fisicamente.
Detesto il "perfettinismo", odio il "moralismo gratuito"... E non mi piace chi è sempre "a posto". Preferisco chi sbaglia. In genere chi sbaglia ha l'umiltà per scendere tra noi poveri mortali e gettarsi nella mischia. Preferisco provare a fare una cosa in più, se può essere utile a qualcuno e correre il rischio di sbagliare, piuttosto rinunciare a priori perchè temo non risulti "perfetta".
Di fronte all'inflessibilità io mi irrigidisco; di fronte a chi sbaglia, provo tutto sommato simpatia o tenerezza.
Quindi, ho chirugicamente dimostrato che il problema sono io: non impazzisco dalla voglia di festeggiare con chi si ostina a mantenere un distacco dai problemi veri. Le "aperture", viste dall'ottica del "bicchiere mezzo vuoto", le avverto come tardive ed inefficaci. Forse invece dovrei guardarle come "finalmente-aperture".
D’altro canto mi sembrano esagerati i presidi di protesta in piazza XXIV Maggio a Milano, nonché le iniziative del Coordinamento Arcobaleno (il quale, tra l’altro,  ha avviato l’incontro con il saluto di Margherita Hack, che proprio stupida non è), un po’infastiditi dalla promozione del solito modello unico di famiglia, eterosessuale e finalizzata alla procreazione. Condivido pienamente il senso di fastidio, ma vorrei richiamare da tutte le parti un maggiore atteggiamento di pacatezza, anche nelle dichiarazioni di protesta, spesso legittime. Se un milione e passa di persone sono contente perché sentono che quello “è il loro giorno”, dopo tutto e nonostante tutto, perché guastargli la festa?
C’è sempre tempo per richiamare l’attenzione sul fatto che, nel terzo millennio fortunatamente, non abbiamo più paura della magia o delle streghe. Non ci acchiappano più con i tabù ma le cose ce le devono spiegare. E devono anche essere convincenti.
Ma per un giorno, tutto sommato, è carino vedere tante mamme e tanti papà con passeggini, pappe e pannolini farsi largo tra la folla per cercare il loro pezzettino di suolo per sentire un messaggio di speranza e positività.

venerdì 1 giugno 2012

Dovo lo trovo un negozio di ortopedia un po’“trendy”?


Ciabatte
Homar: visione in 3D

Paolo ha tolto il gesso ma ha ancora un piedone da yeti. Riesce solo ad indossare dei ciabattoni giganti e morbidissimi che hanno l’aspetto di un hot dog. Glieli hanno regalati per gli inverni freddi (sottolineo che siamo a giugno!) e ospitano una paffuta faccia di uno dei Simpson da cui spuntano lateralmente le orecchie; mi sono sempre chiesta che ci facciano delle “orecchie” cucite lateralmente sui ciabattoni paffuti; penso che siano lì a sottolineare che se hai infilato quelle “zattere” ai piedi, è perché sei in fase catatonica, tipo “divano-telecomando-libro-bibita” ed è bene che tui non tu smuovi da lì: se lo fai, a tuo rischio e pericolo di inciampare nelle morbide orecchie di stoffa che spuntano dalle tue caviglie. Così ora, quando Paolo gira per casa c’è l’occhione di Homer che ti guarda dal basso come se ti chiedesse qualcosa (l’occhione destro; il sinistro si è staccato subito). Quando Paolo cammina, lo fa malissimo e pende dalla parte del piede sano. Quando non è in piedi, dà l’impressione di zoppicare anche da seduto.
La domanda che sorge spontanea a vederlo, è: “ma quando sarà costretto ad uscire di casa, come pensa di affrontare il mondo infilando le sue caviglie nella gigante boccona di Homar? Sopravviverà in qualche modo la sua credibilità?”
Scarpe da ginnastica: manco a parlarne! Sembrano sottili sigarettine confronto al suo bananone più largo che lungo. Ci toccherà entrare in un negozio di ortopedia trascinandoci dietro anche Homar e cercare qualcosa di più adatto. Saremo inorriditi dal prezzo di mastodontici scarponi da menomato e probabilmente usciremo ancora con Homar che ci guarderà dal suo unico occhio laggiù.
C’è un vantaggio in tutto ciò: potrà essere esonerato, per quest’anno dalle figuracce come terzino nelle partite di fine anno “papà contro giovani calciatori”. Non che andare in giro con Homar sguercio, in fatto di figuracce, rappresenti un gran risparmio… ma almeno non dovrà sudarsi la serata.
Lo svantaggio: si piazzerà sul pc di casa andando in ufficio ancora meno di prima e il ritmo figli/scuola/casa/lavoro sarà completamente sconquassato per bel po’; io sarò promossa da semplice “autista” a “multimansione a tempo pieno” e, non so perché, ma non riesco ad esserne particolarmente orgogliosa…
Forse sarà meglio impegnarsi per trovare un negozio di ortopedia abbastanza “trendy”…

giovedì 31 maggio 2012

I figli cadono. La gravità non si poteva pensare un po’meglio?

figli che cadono
I figli sono in grado di capovolgersi inciampando nella loro ombra
Le strade a maggio sono piene del vagabondare dei genitori che nel loro “taxi” trasportano i figli tra un torneo, una partita e una festa di fine anno.
In questo gran trasporto, se notate i sedili dietro delle auto, sono pieni di “nani” con un libro in mano per ripetere durante il tragitto nozioni fondamentali per l’ultima verifica dell’anno, quella “davvero decisiva”. Naturalmente le verifiche “davvero decisive” sono tutte nel mese di maggio e sono almeno tre al giorno.
Poi c’è sempre un figlio che si bozza da qualche parte alla vigilia della partita “davvero decisiva” (sembra che nel mese di maggio tutto abbia il vizio di diventare estremamente “decisivo”. E’ un atteggiamento monotono delle priorità che diventano tutte “decisive”, in concomitanza della dichiarazione dei redditi). In questi casi il coatch raramente si mostra particolarmente comprensivo e forse ha le sue ragioni: tutti i ragazzini ingolfati dal mese dei primi caldi e dei primi starnuti da allergia sono sempre contati e le contusioni impreviste fanno arricciare il nervo come fossero “avversità della vita ingiustamente gratuite” (altrimenti dette “ma devono capitare proprio tutte a me?”). Le reazioni dell’atleta (e allenatore) possono essere di due tipi: c’è il tipo “un po’piegato” che cede con rassegnazione accasciandosi lentamente al suolo, di fronte alle “sventure della vita” (a 10 anni, sotto la voce “sventure della vita” è compreso l’essere costretto a zoppicare per via di un pestone all’alluce proprio alla vigilia della finale di torneo; certo che se camminasse senza guardare sempre “alti orizzonti”, forse non inciamperebbe nella sua ombra! Per un “mago” del pallone come lui non dovrebbe essere uno sforzo clamoroso provare a camminare come sanno fare tutti senza capovolgersi ogni tre passi…). L’altro tipo di reazione è quello dove il nervo prevale sulla rassegnazione e si potrebbero fare studi di anatomia, se qualcuno si prendesse la briga di analizzare i muscoli facciali, tutti in piena contrattura. Comunque siamo riusciti a rimettere insieme i pezzi con qualche fasciatura ben pensata e bagni di gel all’arnica. Agendo sull’alluce, in realtà siamo riusciti ad appianare i muscoli facciali di atleta e coatch, facendo riemergere la loro solita faccia. Meno male!