mercoledì 11 dicembre 2013

La mia lista

In questo periodo abbiamo tutti in tasca “la lista”. E quando si arriva al punto di avere pronta “la lista”, si è sempre sull’orlo di una crisi di nervi.
Poi piano piano, con sacrificio, fatica e dedizione spunti la lista; a me capita di arrivare in fondo alla spunta e sentirmi magnifica.
L’emozione dura qualche nanosecondo, perché poi mi accorgo di tutta una lunghissima serie di cose lasciate fuori dalla lista.
Subentra un vago senso di smarrimento e uno stato di quasi disperazione perché, contestualmente, mi accorgo di non avere nemmeno il tempo di predisporre un’altra lista con le voci mancanti.
Quello che arricchisce la mia lista non ha niente a che fare con regali e gozzovigli natalizi, ovviamente: a lì non ci sono ancora arrivata. Ad esempio in banca nessuno è in grado di capire perché si è interrotta la domiciliazione delle bollette della luce ed è da settembre che verso il 15 di ogni mese, passo la mattinata in coda in posta per recuperare la raccomandata con cui mi avvisano che presto resterò al buio, per poi correre in banca a brontolare prima che chiuda e correre a casa a urlare con il call center del servizio elettrico. So che se faccio qualche misteriosa operazione magica riesco a stoppare questo inferno, ma questa azione, nascosta in fondo a una laboriosa caccia al tesoro non è ancora “verità rivelata”.
Poi dovrei provvedere a capire perché mai il mio premio assicurativo è schizzato alle stelle dopo che io ho “subito” un danno per un tamponamento (e questa è una cosa relativamente urgente, dal momento che sto viaggiando con l’auto scoperta dalla RC). La compagnia di assicurazioni non mi sa aiutare perché al loro terminale “non risulta”: il sofware è nuovo, è molto sofisticato e non può essere contraddetto, sicchè all’agenzia mi hanno consigliato di provare a cercare su internet dei suggerimenti.
Da tutto ciò ho dedotto il vero scopo delle liste: procurami a gratis un Magic Mountain per il mio sistema emotivo, con schizzi di adrenalina ogni volta che c’è una nuova spunta e un tonfo al cuore ogni volta che un neurone punta su una cosa che era  urgentissima ieri. E con questo continuo su e giù di adrenalina per le coronarie, mi inchiodo su un fatto certo, ovvero che le liste sono totalmente inutili perché sono la perfetta realizzazione pratica del paradosso di Achille e la tartaruga; non riuscirai mai a raggiungere la fine della lista se sei così organizzato da aggiungere voci con la stessa velocità con cui si producono. L’unico sistema per arrivare al fondo della lista è essere tanto DISorganizzato da non riuscire a completare le voci mancanti.

lunedì 25 novembre 2013

Il calzino..."malleolare" (malleolare = da "malleolo")

Questa mattina, prima di schizzare in ufficio sono stata abbastanza perentoria: essendo già tutti andati a scuola, ho affisso un cartello con minacce varie proprio davanti alla loro play station. Al momento quindi, i casi sono due:
1)   Arrivano a casa, si tuffano sulla play, spostano il cartello e cominciano a giocare
2)  Arrivano a casa, su tuffano sulla play, leggono il cartello e cominciano a giocare.
La probabilità che si attui il caso 1 o il caso 2 è direttamente proporzionale alla quantità di moto impiegata nel tuffo, la quale a sua volta è direttamente proporzionale al tempo trascorso dall’ultima giocata, la quale a sua volta è funzione degli accordi presi nella turnazione tra i fratelli. Difficilmente i compiti costituiscono una delle variabili fondamentali per il calcolo della quantità di moto.
Il concetto espresso dal mio cartello era abbastanza semplice: se si azzardano a tardare oltre nella sistemazione della loro camera, la mia vendetta sarà atroce.
L’unico baco consiste forse nel fatto che non ho ancora ben chiaro quale sia il tipo di vendetta che potrebbe concludersi con un buon risultato. Mi basterebbe anche solo un risultato decente, che sarebbe comunque il primo dopo tanto tempo di lotte inutili.
Funziona sempre così: al sabato si entra in camera loro vestiti da samurai, si fa qualche balzo acrobatico roteando il manico della scopa, poi ci si presenta con un lanciafiamme sperando di spaventarli almeno un pochino e poi è ora di cena. La camera, nel frattempo, non ne vuole sapere di mettersi a posto da sola.
E questo va avanti da anni, fintanto che non si presentano le giornate come oggi. Oggi, prima di uscire per andare in ufficio ho provato a cercare le mie calze. Il mio cassetto della biancheria è vuoto come un treno per pendolari a ferragosto: continuando a fare bucati per “loro”, sono indietro con i lavaggi delle mie cose. Gli unici oggetti che vagano nei miei cassetti vuoti non avevano niente a che fare con l’oggetto “calze” e avevano la stessa aria triste della particella di sodio nell’acqua Lete.
Allora mi è venuto in mente di cercare nei cassetti dei figli.
Ecco il risultato: oggi sono in ufficio con un calzino che arriva al malleolo e l'altro che arriva sotto il
ginocchio. Per fortuna, nella penombra del “sotto-scrivania”, sembrano essere scuri tutti e due. Continuo a tirarmi giù il pantalone e cerco di non muovermi troppo da questa sedia. Per fortuna la mia postazione è "d'angolo" e ho infilato il calzino "malleolare" sulla gamba destra, vicino alla parete e alla cassettiera. Ho infilato la gamba lì dietro e...spero che non mi scappi la pipì prima che siano usciti tutti dall'ufficio.
Purtroppo sono passati solo 45 minuti e inizia a darmi veramente fastidio il crampo alla gamba destra. Mi vengono in mente i tempi in cui a scuola, in preda al panico da interrogazione, speravi vivamente che qualche anima pia facesse suonare qualche allarme antiatomico, grazie al quale evacuare la zona. Se così fosse, aspetterei che si svuoti l’ufficio per provare a muovermi e far tornare quel minimo di circolazione sanguigna in grado di evitare l’amputazione, evento certo ora di sera.

lunedì 18 novembre 2013

SatellitARE: prima coniugazione

Ieri, se eravate in giro in auto per la Lombardia, è matematicamente certo che ci siamo incontrati, perché ho girato tutti gli angoli possibili nel tentativo di accompagnare un figlio ad una delle sue attività sportive a Villanova.
Contavo sul satellitare ma ieri, probabilmente a causa dell’alto tasso di umidità, preferiva insistere a
puntare dritto verso sud, direzione Sahara.
Abbandonata da un satellitare in sciopero, mi rimanevano due alternative: chiedere ai vecchietti o chiedere ai ciclisti.
I vecchietti alla domenica mattina abbondano: hanno i fiori in mano e sono diretti al cimitero, dopo l’uscita da messa. Generalmente viaggiano in coppia e quando gli chiedi un’indicazione discutono tra loro per dieci minuti se è più comodo farti fare il giro che passa davanti a casa della Gina o del Pinuccio. Prima di arrivare ad un accordo, però, ti chiedono se sei sicuro che il “Sciur Villanova” che stai cercando abiti proprio dalle loro parti.
Quindi, dopo qualche mezz’ora passata così, mi sono arresa e ho puntato ai ciclisti.
I ciclisti sono il flagello delle strade perché se provi a superare i dieci che invadono l’intera corsia mentre si godono le chiacchiere e il paesaggio, quello che succede dopo non è niente di piacevole.
I ciclisti però hanno un vantaggio: generalmente hanno in testa tutta la cartina del circondario. Il problema è solo intercettarne uno e provare a fare il download del suo sapere geografico, nonostante lui mostri chiaramente di non avere voglia di staccarsi dal gruppo e dalle chiacchiere con gli altri ciclisti.
L’operazione, che non è affatto banale, richiede pazienza e dedizione, ma alla fine, se ti accontenti di un ciclista solitario (elemento raro, ma qualcuno lo trovi) l’intercettazione va a buon fine. Il ciclista solitario è in giro a zonzo e spera solo di perdersi nella campagna lombarda e questo non fa di lui un buon satellitare. Ieri c’è stata anche una piacevole discussione sull’origine medioevale del nome Villanova e Villafranca, a dimostrazione del fatto che cercare un paese dal nome Villanova è una pretesa inaccessibile, dal momento che il solo Stivale ne conta ben 51, nonostante la crisi agraria nel XIV secolo ne abbia fatte sparire moltissime. Io invece propendevo per la tesi che dovendo accompagnare il pargolo ad una semplice manifestazione sportiva promossa dall’oratorio, avrei messo in dubbio tutte le Villanove a partire dall’Italia centrale, nonché avrei categoricamente escluso quelle nella parte meridionale del Paese, senza per questo voler passare per leghista accanita, naturalmente!
Il modo con cui siamo giunti a Villanova, e nel Villanova giusto, si è basato su un percorso “logico”, con il quale non si può sbagliare: ad ogni bivio, basta prendere, in sequenza, tutte le direzioni possibili. Prima o poi si arriva.
Purtroppo abbiamo iniziato a sperimentare questo sistema infallibile appena dopo il bivio giusto, ovvero il bivio che si trova dietro casa nostra, il quale è stato testato come ultima chance. Verso mezzogiorno, abbiamo dunque scoperto che noi abitiamo nel paese praticamente a fianco ad un altro paese che si chiama “Villanova”. Mai saputo prima. Ora lo so.
Il motivo per cui ho accompagnato fuori tempo massimo uno dei pargoli a Villanova, era per lasciare il macinino elettrico all’altro figlio, il quale doveva andare ad un’altra manifestazione sportiva. Il macinino che può guidare un 14-enne è un oggetto che conta 4 ruote (quella di scorta non c’è perché non ci sarebbe il posto dove metterla), somiglia vagamente ad un’automobile, ma non può essere guidata in autostrada o in tangenziale. Il satellitare “che funziona” è stato dato a lui, ma l’opzione che esclude autostrade e tangenziali, chissà perché, ieri proprio non andava.
Il risultato netto è stato che, dopo aver percorso gli 80 km di autonomia della batteria nel tentativo di bypassare strade a lui non concesse, si è trovato in mezzo al nulla, con la sua bici legata sul tetto, ad aspettare un carroattrezzi.
Se penso alla nostra collettiva manifestazione di disappunto nei confronti del terzo figlio, di fronte alla sua chiara ostinazione a voler passare tutta la domenica mattina inchiodato davanti alla play station, qualche domanda me la faccio.

PS Cristina G:

Leggi http://cepocodaridere.blogspot.it/2013/11/messaggio-per-cristina-g.html

martedì 12 novembre 2013

Messaggio per Cristina G.

Ciao.
Recentemente qui si perde di tutto. Da quando i miei genitori si sono trasferiti vicino a casa mia, la fantasia del riordino degli oggetti che sbucano dagli scatoloni supera qualsiasi immaginazione: mio papà ha trovato "IL-posto-idoneo" del metro da sarta nel cassettino del bagno, mia mamma ha infilato la macchina fotografica in un angolino dietro ai vecchi trenini elettrici e via discorrendo. Ne consegue una lunghissima e noiosa lista di cose disperse chissà dove. Spesso è divertente vincere le scommesse sul ritrovamento degli oggetti più svariati con le ipotesi più assurde; nei momenti di fortissimo ritardo, quando l’oggetto disperso è una cosa che serve a me, il lato divertente colpisce gli altri e in quel momento manco un po’di senso dell’umorismo.
Il bello di questa faccenda, però, è che quando non trovi un qualsiasi cosa, di fisso, la colpa è dei nonni.
Per venire al punto: Cristina G, non trovo il tuo numero di cellulare. Non ho la tua mail. Non mi ricordo il tuo indirizzo. Sicuramente mia mamma, anche se è da vent’anni che proviamo a spiegarle che cos’è un pc e da 10 ci tentiamo con un cellulare, lei sicuramente è la principale causa della perdita.
So che ogni tanto leggi qui dentro, per cui sappi che ho sentito Annamaria C.
Ci siamo ricordate che il 10 dicembre è sempre stato il tuo compleanno; tant'è che da quando eravamo bambine, ogni volta che venivo a casa tua e schiacciavo il numero di piano dell'ascensore, facevo il ragionamento (un po'contorto, forse) che tu eri nata il  12-mo mese, cioè dicembre, come il numero di piano, cioè il 12.
Cioè un numero pari.
E che il giorno del compleanno era il 10, cioè il "piano" pari che stava sotto; ed era quello "sotto" perché io, tra noi due, ero (e sono) la più bassa (quindi, "sotto").
Nel frattempo l'ascensore si riempiva di gente e io finivo per schiacciare un tasto a caso perché iniziavo a sentirmi un po'nervosa... Più tardi ho scoperto che anche la Chicchi faceva lo stesso ragionamento; però era più veloce di me e riusciva a scegliere il piano giusto prima che l’ascensore si affollasse troppo. Ero sempre molto gelosa della sua velocità su questo ragionamento.
Dubito che, per farci il piacere di evitarci ragionamenti contorti, tu ti sia presa la briga di cambiare il giorno del compleanno. Penso che sia stato più facile cambiare casa e numero di piano. Quindi il giorno del compleanno, credo che sia rimasto il 10 dicembre. Viceversa, non so a quale piano abiti ora.
Sarebbe stato più semplice associare il 10 dicembre alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani per esempio, ma quando hai un’età che si indica con le dita, la prima associazione che viene in mente non è con la carta dei diritti ma con i bottoni dell’ascensore, visto che arrivare fin lassù è una dura conquista spalmata nel corso degli anni. E un tappo come me lo sa bene.
È tutto. Ciao.

venerdì 25 ottobre 2013

Cerca e NON trova


Come al solito, è colpa mia. E questa considerazione in genere mette il cuore in pace a tutti.
Questa volta, quello che ho combinato consiste nel fatto che non ho personalmente seguito la fase post-trasloco dei miei vecchietti in tutti i suoi stadi, compresi quelli più minuscoli. La mia enorme mancanza consiste, di notte, di tornare a casa mia a dormire dopo aver firmato i brutti voti nelle verifiche dei miei figli. Evidentemente invece, l’insonnia notturna tipica dei vecchietti spinge ad avere molte idee luminose sotto la pressione di un bisogno irrefrenabile di riordino e sistemazione.
Non mi è ancora venuto in mente di impiantare telecamere nascoste per i controlli notturni di quanto avviene a casa dei miei genitori, nell’appartamento accanto al mio; ma le piazzerò molto presto! Senza telecamere e registrazioni non ho assistito personalmente alla scena ma scommetto soldi che la cosa è andata più o meno così: mia mamma ha aperto uno scatolone. Ha trovato un vecchio portapane. Lo scatolone era nelle vicinanze del bagno e, visto che è un po’malferma con le gambe, non è andata molto lontano da dove si trovava per appoggiarlo. E in effetti doveva pure appoggiarlo: mica poteva stare con un portapane in mano tutta la notte! Dopo aver appoggiato il portapane sul calorifero del bagno, è partita alla conquista di un secondo scatolone, trovandoci un po’di medicinali. Dal momento che la sua memoria a breve termine non l’aveva ancora tradita, si è ricordata limpidamente di aver appoggiato poco prima, su un “ripiano”, una specie di “contenitore”. Il risultato di questa serie di eventi porta, in modo molto lineare, al fatto che attualmente in casa dei miei, se andate a lavarvi le mani in bagno, trovate lì accanto un porta- pane, pieno di medicine. No anzi, per la precisione: il porta-pane in bagno è pieno solo delle medicine  che lì ci stavano. Per trovare quelle di dimensioni incompatibili con il portapane, bisogna attendere che la memoria di breve termine di mia mamma diventi memoria di “lungo termine”; allora, forse, ci sarà qualche speranza di ritrovarle. E, una volta ritrovate, saranno sicuramente scadute e potranno essere buttate.
Con la stessa logica ferrea e inoppugnabile, sono stati “messi al loro posto” anche una lista di cose tipo il rogito, le carte di credito, i pin dei bancomat e una lunga serie di chiavi senza le quali ci sono molte cose che non possono essere aperte o chiuse, tipo, ad esempio, la porta di casa loro, la porta della cantina e la loro vecchia automobile.
Ogni tanto spunta un mazzo di chiavi, solitario, che ovviamente non compare assieme ad altre colleghe chiavi: probabilmente mia mamma, trovandosi con un mazzo di chiavi in mano, le avrà volute “mettere-via-bene-per-non-perderle”. Questo istinto di ordine e organizzazione, assolutamente irreprimibile, deve andare soddisfatto nel giro di pochi secondi. Calcolando la velocità di movimento di mia mamma, in pochi secondi lei copre al massimo un raggio di una o due piastrelle, area entro la quale ogni possibile anfratto può servire allo scopo di tranquillizzarla sull’essere stata precisa e adempiente alle sue esigenze di riordino e organizzazione.
Se trovare il suo libretto degli assegni risulta un’impresa adatta solo agli agenti del controspionaggio, risulta però piuttosto facile trovare alcuni oggetti di “utilizzo comune” che in effetti spuntano da ogni singolo angolo: santini e madonnine predominano ovunque.
Anche le tazzine da caffè, possibilmente quelle con il manico rotto, sembrano essere collezionate a centinaia e servano per tutti gli usi più svariati: porta-trucioli, portachiavi, porta-noccioli, porta-anelli, sottovasi per piccoli cactus e, soprattutto, porta-polvere. Mia mamma ha insegnato tutta la vita e i suoi studenti, a quanto pare molto grati alla loro carissima e amatissima prof, hanno pensato bene di farle diversi regali di Natale o di fine anno scolastico. Sembra che il servizio da tazzine sia stato un’idea particolarmente gettonata in tutte le classi. Se contiamo che ha insegnato al quinquennio del liceo per 40 anni e facciamo una facile moltiplica, tenendo conto che ogni servizio mediamente offre ben 12 tazzine, anche sottraendo qualche centinaio di tazzine andate in frantumi, ne rimangono ancora diverse migliaia in giro per casa.
Un’altra cosa di cui quella casa non soffre, è la mancanza di fogli e matite. Mio papà doveva avere una vera passione per i bloc notes nei quali appuntare qualsiasi cosa. Consapevole di essere da sempre molto distratto si è riempito le tasche e i cassetti di fogli per appunti e post it. Si faceva promemoria per tutto, compresa una lista aggiornata di tutti i promemoria fatti, i quali altrimenti sarebbero andati persi e rifatti da capo. Insomma: i promemoria dei promemoria. Nonostante tutti i suoi promemoria, dopo aver tenuto una conferenza a Torino, la leggenda narra che, distratto dai suoi pensieri, sia tornato a casa in treno dimenticandosi l’auto nel parcheggio.
Ma secondo voi, uno così, ha qualche possibilità di ritrovare le chiavi di casa messe “al loro posto” da sua moglie?

giovedì 1 agosto 2013

partenza


I miei due baldi junior sono al campo scout, mentre io sono in montagna con il mio ultimo erede e i suoi amici; ogni anno, quando i fratelli maggiori sono via, mi porto dietro i "dami di compagnia" della sua squadra di calcio perchè mi farebbe troppa tristezza pensarlo "figlio unico".
Quest'anno forse, causa mia età troppo avanzata, riesco a fargli rinunciare al nostro "ike" (cioè grigliata con dormita sotto le stelle in cima a qualcosa, bagnetto al laghetto gelato e rientro alla base; oppure attraversamento di qualche valle, dormita in fondo valle sotto le solite stelle, bagnetto e rientro). Ma sono comunque sufficientemente a pezzettini... Non ho portato la crema solare e questo ha contribuito parecchio al disfacimento dei miei pezzettini. Mi sento un calorifero che cammina. Anche le mie dimensioni e la mia forma, quest'anno, somiglia tanto a quella di un calorifero. Diciamo che, forse, gli aperitivi con mia mamma tra uno scatolone e l'altro, aperitivi a base di vino bianco di frigo con oliva, hanno contribuito con qualche effetto collaterale.
I miei sono quasi a fine trasloco, ovvero l'oceano di scatoloni è ora solo un mare. Abbiamo posto la parola "fine" dopo gli ultimi paletti fissi tipo "rogito", "arrivo del gas", "arrivo del vigile per la residenza" e, come quando si fa in ufficio quando scattano le 17 e la penna viene abbandonata sul tavolo, noi abbiamo abbandonato il Mediterraneo di scatoloni per attivare l'operazione "partenza per la montagna".
Ecco il programma del giorno prima di partire (una settimana fa circa; qui si perde il conto del tempo, che prima si basava sul conteggio degli scatoloni): mattinata persa a cercare l'orario del treno più consono che li approdasse in montagna. Per cercare un orario consono occorre fare il super G tra l'orario delle pastiglie, la pipì, la temperatura idonea che però tiene conto del tasso di umidità, degli UV e del livello di oscurità all'imbrunire, nonchè dell'orario di apertura del mercatino per comprare la pastina per il menu della serata del grande arrivo. Dopo una mattina di discussioni, decidiamo che il treno delle 18.34 è decisamente il migliore. Considerando che occorre circa una buona decina di minuti per arrivare in stazione da casa mia, preventivando un'improbabile serie di semafori rossi e un blocco stradale non-si-sa-mai, vado da loro alle 17.20, ovvero più di un'ora prima del grande evento. Vedo mia mamma indaffaratissima con i suoi scatoloni, un armadietto che ora ospita le tazzine dalla numero 12456 alla 53145, uno scatolone quasi vuoto, ma delle valige manco l'ombra. E mi sento rispondere esattamente ciò che temevo sentirmi rispondere, con la stessa intonazione: "Ma perché, il giorno della partenza era oggi?"
Dopo un'altro attentissimo studio degli orari di partenza dei treni, decidiamo che l'unico possibile è quello delle 10.32 "della mattina seguente", ovvero del "giorno dopo", cioè il giorno che segue una notte di sogni e poi il risveglio. Ecco, insomma, quella mattina lì!
Dopo 10 minuti sento mia mamma che programma con mio papà di cercare il trapano nel box per poter appendere dei quadri che, appoggiati lì per terra, proprio-proprio le danno fastidio. E naturalmente, il programma riguarda immancabilmente la mattina seguente!
Morale: ho messo la sveglia presto, sono andata nel loro appartamento, li ho prelevati, loro, la loro valigia, le loro pastiglie, gli annessi e i connessi e li ho appoggiati sul treno, il quale faceva capolinea proprio in montagna, vicino a casa loro. Li ho chiamati poco prima del loro arrivo assicurandomi che fossero sufficientemente svegli per scendere e li ho richiamati al loro telefono fisso, per assicurarmi che fossero proprio lì. E dopo di che sono stata relativamente tranquilla....
Che fatica, però!