Gli svizzeri nutrono una vera passione per i cartelli
“verboten”.
Verboteggiano su tutto e, dove il cartello manca,
c’è comunque un
elenco di regole e comportamenti da tenere.
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I fiorellini nelle aiuole pendono miracolosamente tutti con
la stessa identica inclinazione; signori sorridenti e con la tuta da
giardiniere curano i sentierini nel bosco riordinando i fili d’erba spettinati
che, impertinenti, osano chinarsi sull’asfalto curato del sentiero in salita.
Perché molti sentieri nei boschi svizzeri sono asfaltati. Probabilmente sarebbe
comodo per chi, come me, gira in bicicletta, se non fosse per il fatto che un
cartello “bike verboten” sbarra la strada. Gli svizzeri nutrono una vera
passione per i cartelli “verboten”. Verboteggiano su tutto e, dove il cartello
manca, c’è comunque un elenco di regole e comportamenti da tenere. C’è un
pensiero che mi infastidisce parecchio, mentre mi sento un po’stracciona e
fuori posto, slalomando tra i loro cartelli “verboten”: è il pensiero che mi fa
guardare con un po’di sospetto le loro banche blindatissime e che riguarda la
provenienza di tanto loro agio… In ogni modo, i cartelli in Svizzera sono
ovunque: cartelli con i nomi delle strade, con i nomi dei sentieri, con il
numero civico del fienile. Purchè ogni bivio abbia il suo cartello, si
accontentano di piantare due frecce in direzioni divergenti, senza alcuna
indicazione sopra. Giuro: l’ho visto! In questi cartelli raramente ho notato
qualche suggerimento sul tempo di percorrenza. Probabilmente perché uno
svizzero non reggerebbe l’idea di inserire un’indicazione approssimativa e
nessun buon cittadino oserebbe percorrere un sentiero impiegando un minuto di più
o un minuto di meno rispetto alla cifra scritta sopra il cartello indicatore.
L’assenza dei tempi di percorrenza non è una mancanza da poco, a meno di non
essere dotati di costosissime cartine svizzere, pagate con costosissimi franchi
svizzeri, dalle quali, attraverso qualche calcolo sulle curve di livello e
poche facili equazioni, si può dedurre l’incognita “tempo”.
Un’altra cosa che non ho visto spesso in giro sono le
fontane. Non è la siccità il problema: nessun laghetto svizzero o torrente
svizzero oserebbe ridurre i suoi confini prestabiliti e segnati premurosamente
sulle cartine, per un motivo banale come la siccità. Credo che il motivo sia da
ricercare nei… “ristori” (quello che da noi si chiama “rifugio” è fatto
diverso!). A 3mila metri di quota, quando la gola è completamente rinsecchita
per sete, fame e fatica, appare come un miraggio un grand hotel con terrazza
panoramica, tavoli da bar protetti da enormi vetrate frangivento, una stazione
ferroviaria del trenino a cremagliera, un tizio che suona il corno e signorine
in costume che girano tra i tavoli con un panciuto e tintinnante borsello in
cuoio appeso in cintura. Pensando ad un miraggio dei più fantasiosi, si
impegnano le ultime energie per correre in bagno pensando di prosciugare le
sorgenti. Se la porta del bagno non è a gettone, riusciamo ad entrare e per
associazione di idee pensiamo al bagno di casa nostra, ripromettendoci di
tenerlo un po’più in ordine e pulito; poi però, quando sentiamo il profumo
insistente che proviene da folti ciuffi di lavanda appena colta ci arrendiamo,
pensando che tanto non saremo mai all’altezza di un bagno svizzero e cerchiamo
finalmente il refrigerio del primo rubinetto libero. Ovviamente il cartello che
comincia con “Verboten” e che esprime in tutte le lingue (tranne l’italiano) il
concetto che quella non è acqua potabile ci infastidisce un po’, mentre si
cerca disperatamente la cellula fotoelettrica che fa scendere l’acqua in
automatico. Ci si arrende e si passa ai tavolini del bar, in cerca di qualcosa
da bere e da mangiare, contando gli spiccioli che sono sempre in numero troppo
esiguo rispetto a quanto le papille gustative sono già predisposte a sognare.
Si scopre subito che la “birra piccola” corrisponde ad una tanica da due
galloni e che costa molto meno dell’acqua minerale, quindi si cerca qualcuno
che ci confermi con certezza che, tutto sommato, anche a nove anni un buon
bicchiere di birra possa andare benissimo. In questo modo la gola non è più
rinsecchita ma sono prosciugate le risorse economiche, quindi si può procedere
per il ritorno. La discesa è un po’più facile e si ha occasione di cogliere il
dettaglio che, se non fosse per il chiasso esagerato dei tuoi figli, in
Svizzera sentiresti i boschi parlare con il cinguettio delizioso degli
uccellini; appena si riesce ad allontanarsi dall’inquinamento acustico prodotto
dalla prole italiana, si vedono riapparire gli scoiattoli terrorizzati e molti
altri animali che si pensava vivessero solo nei cartoni animati del film Bambi.
E questo ambiente assolutamente magico riesce a distrarci dai fastidi dei
cartelli e delle spese della giornata. All’arrivo però, con orrore si scopre
che dove abbiamo parcheggiato l’auto c’è un omino con il solito panciuto e
tintinnante borsello di cuoio appeso in vita che aspetta solo i nostri ultimi
spiccioli sopravvissuti.
Entrando in auto (che riconosci perché è l’unica punto color
topo in mezzo ad un deposito di Mercedes e BMW gialle e arancioni) ti
riprometti, come è già successo con il bagno del grand hotel, che almeno la
terrai un po’più pulita.
Varcando il confine non si può sbagliare: i guard raid acciaccati e arrugginiti e la linea di sorpasso sull’asfalto che, quando c’è, sembra essere vagamente storta, ci fanno pensare che la direzione verso il Bel Paese è quella giusta. Anche in caso di nebbia fitta.
Varcando il confine non si può sbagliare: i guard raid acciaccati e arrugginiti e la linea di sorpasso sull’asfalto che, quando c’è, sembra essere vagamente storta, ci fanno pensare che la direzione verso il Bel Paese è quella giusta. Anche in caso di nebbia fitta.
2 commenti:
temeraria.
...Senti chi parla...! Ai curiosi, per capire il "senti chi parla", consiglio vivamente il "PREVISIONI LUMINOSE" di Anella (http://previsioniluminose.blogspot.it/)
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