martedì 21 agosto 2012

La vacanza è la parte in mezzo tra le due fasi “prepara i bagagli” e “disfa i bagagli”

smistare
CASA AL RIENTRO VACANZE = deposito di mucchi di oggetti da lavare e smistare.
È molto comodo per chi, entrando qui dentro, avesse con sé un canguro con una grande nostalgia per le dune australiane. Ma non conosco una gran folla di persone che possiedono canguri che soffrono di nostalgia….

Ogni anno in vacanza ci sono due fasi “durissime”: la prima è la partenza (recupero masserizie utili e pulite, acquisti costosissimi dell’ultim’ora per le cose indispensabili che “l’anno-scorso-sono-sicura-di-aver-messo-lì”, assoluta incompatibilità volumetrica tra il vano bagagli e le borse); la seconda è il rientro. Si può concludere che se “la parte in mezzo” tra partenza e rientro è meno che “grandiosa”, il bilancio risulta in perdita netta.
Il rientro in genere avviene in una delle due condizioni: o si smanetta nel portabagagli sotto il diluvio universale perché era da mesi che si era dimenticato di piovere, oppure il termometro segna ancora implacabile i 40°C all’ombra e si desidera solo l’aria condizionata dell’ufficio. In entrambi i casi, al rientro la visione del portone di casa nostra è una specie di fumogeno che ci costringe di botto a smettere di sonnecchiare sul sedile dell’auto con il condizionatore a manetta; quando si ha finito la lunga e noiosa discussione sul tema “chi ha messo via le chiavi di casa, dove le ha messe?”, finalmente si può scendere e, aprendo la portiera, si intuisce che il termometro che segna la temperatura esterna all’auto non era rotto: ci si trova davvero in una specie di forno da pizza (o peggio, se è da due chilometri che si scatenano i monsoni, ci si trova sotto una specie di getto da autolavaggio); e in queste condizioni ci aspetta di scaricare una montagna bagagli strizzati in un vano troppo minuscolo; e questo non è ciò che si può considerare “finire in bellezza la vacanza”. E se poi sui sedili posteriori si hanno dei marmocchietti che ronfano beati, va anche aggiunto il teletrasporto-figli, che include un solenne frigno da esigenze immediate e persistenti dal titolo “ho-fame/ho-sete/ho-sonno”. Per fortuna nel mio caso gli eredi sono già più grandicelli e questi sono incubi ricordi lontani, di cui non sento particolare nostalgia. Rimane la faccenda dei bagagli: un tappeto sconfinato di borse, più o meno luride o accartocciate, destinate a rimanere in mezzo al passaggio per ore (e non sempre “l’ora” è l’unità di misura più appropriata), sopra la polvere e sotto le ragnatele che nelle settimane di assenza hanno preso alloggio a casa mia.
La lista “da fare”, man mano che i bagagli vengono depositati in casa, si allunga con la velocità del nostro debito pubblico ed emotivamente, questa è una cosa che non fa stare sereni. So che mi lamento a pancia piena, ma generalmente noi, dopo aver trascorso un po’di tempo al mare, ricompattiamo borse e borsine per un’altra vacanza in montagna. Come dicevo prima, la parte “in mezzo” è grandiosa, ma la fase “partenza” e la fase “arrivo” necessitano di braccia da condannati ai lavori forzati con l’organizzazione teutonica di un gendarme. Incrociando le fasi “rientro dal mare” con la fase “partenza per la montagna”, inevitabilmente si ingarbuglia tutto in movimenti contraddittori insiti nella natura stessa dell’attività “disfa bagagli/rifa bagagli”. Si inizia una produzione prolifica di mucchi di oggetti, distribuiti variamente per casa, che teoricamente avrebbe lo scopo di suddividere per categorie di smistamento ed utilizzo, tanto per evitare di portare in montagna pinne e boccaglio. I mucchi sono il mio incubo diurno e si installano come virus nei miei programmi onirici di notte. In queste condizioni, in breve il caldo ha la meglio, la lista “da fare” diventa più lunga dei rotoloni Regina e, generalmente, già al punto “1” perdo ogni speranza mentre mi accascio lentamente sui miei mucchi.
Uno dei lavori che detesto maggiormente è il lavaggio della tenda e di quanto essa contiene: l’ombra della grande quercia sarà anche una figata, ma il paciugo di resina e salsedine ha il vizio di appiccicarsi ovunque (per l’anno prossimo proporrò querce finte in plastica ecologica); inoltre la sabbia si insinua dappertutto e fuoriesce da tutti i posti più assurdi: si potrebbero eliminare tutte le cave di sabbia se qualcuno si prendesse la briga di venire a casa mia con un aspirapolvere gigante dopo che sono stata al mare.
In tutto ciò le zanzare sembrano le uniche abitanti felici di questo posto infernale, in sintonia con il caldo da palude.
A chiunque non sia chiaro come in un algoritmo funzioni il loop del “go to” può venire a casa mia a vederlo dal vivo: si preleva dal box un buon numero di borse/valige/borsoni, fintanto che le energie non danno forfait; poi si procede trasformando la casa in un immenso deposito di mucchi da lavare e smistare; quando si sono esauriti i borsoni, si torna al punto “1” dell’algoritmo, ricominciando tutto daccapo. In pratica si finisce per avere la casa relativamente libera e con i mucchi sotto controllo solo di notte, dopo una lunga e intensa giornata di lavoro; appena ci si alza dal letto, ci aspettano i lavori forzati per un’altra impegnativa produzione di mucchi. E detta così, è vagamente demotivante. Nelle giornate “disfa&rifa” continuo ad avere in testa i prigionieri nelle navi: quelli sbucciano patate tutto il giorno. Da seduti. Insieme, chiacchierando tra loro e cantando. Mi piacerebbe che ci fosse qualche nave sotto mano che volesse prendersi la briga di tenermi prigioniera per un po’. Ovvio che il mio appello non riguarda i pirati; ho piuttosto in mente le imprese epiche dei primi del ‘900, quando Shackleton guidava il suo Endurance tra i ghiacci del Polo, meta ancora inesplorata. …Ripensandoci, però forse meglio cercare qualche impresa più facile: in questo momento, la cosa più attraente di un’avventura tra i ghiacci è l’associazione con le temperature di quelle parti, perché l’idea di passare nove mesi a zonzo tra le terre di Coats probabilmente renderebbe attraente persino fare la cavallina tra i miei mucchi. Invece i mucchi, dal punto di vista dei figli, credo siano vissuti come comodissime trincee dove nascondersi per evitare compiti delle vacanze e faccende varie. Solo loro riescono a vedere sempre e comunque il lato vacanziero della cosa. Io invece, date le condizioni e le premesse, ho la pretesa che la parte “in mezzo” della vacanza debba necessariamente essere strepitosa. Personalmente tutti mi trovano in forma smagliante al mio rientro per poi tornare aggrinzita e ricurva lontana dallo iodio.
Insomma, la fase disfa/smista/lava/rifa-bagagli è una delle fasi più impegnative dell’estate ed è la scusa che mi serve per potermi rimpinzare di pizzette e focaccine senza ritegno, sapendo bene di evaporare tutte le energie accumulate solo nel punto “1” della mia dannata lista.

2 commenti:

Chiara ha detto...

Noi al rientro abbiamo trovato il diluvio universale al suo 15° giorno - quindi mancava ancora un bel po' alla fine, ma l'auto aveva già fatto in tempo ad allagarsi.
Lo scaldabagno si era rotto e non avevamo acqua calda.
Mi si sono rotte le infradito preferite - non che con la pioggia torrenziale mi sarebbero state di alcuna utilità, ma ci ero affezionata.
Due giorni di tempo, e ho desiderato non essere mai partita... *sigh

claudia c ha detto...

...sigh...
Capisco il momento...