venerdì 31 agosto 2012

Gli svizzeri usano il compasso per fare i buchi nel formaggio?

Mucche
Gli svizzeri nutrono una vera passione per i cartelli “verboten”.
Verboteggiano su tutto e, dove il cartello manca,
c’è comunque un elenco di regole e comportamenti da tenere.
Giretto in Svizzera. Lo stereotipo, nel caso della Svizzera, non solo è fedele alla realtà, ma talvolta è perfino più generoso di quanto si potrebbe immaginare.
I fiorellini nelle aiuole pendono miracolosamente tutti con la stessa identica inclinazione; signori sorridenti e con la tuta da giardiniere curano i sentierini nel bosco riordinando i fili d’erba spettinati che, impertinenti, osano chinarsi sull’asfalto curato del sentiero in salita. Perché molti sentieri nei boschi svizzeri sono asfaltati. Probabilmente sarebbe comodo per chi, come me, gira in bicicletta, se non fosse per il fatto che un cartello “bike verboten” sbarra la strada. Gli svizzeri nutrono una vera passione per i cartelli “verboten”. Verboteggiano su tutto e, dove il cartello manca, c’è comunque un elenco di regole e comportamenti da tenere. C’è un pensiero che mi infastidisce parecchio, mentre mi sento un po’stracciona e fuori posto, slalomando tra i loro cartelli “verboten”: è il pensiero che mi fa guardare con un po’di sospetto le loro banche blindatissime e che riguarda la provenienza di tanto loro agio… In ogni modo, i cartelli in Svizzera sono ovunque: cartelli con i nomi delle strade, con i nomi dei sentieri, con il numero civico del fienile. Purchè ogni bivio abbia il suo cartello, si accontentano di piantare due frecce in direzioni divergenti, senza alcuna indicazione sopra. Giuro: l’ho visto! In questi cartelli raramente ho notato qualche suggerimento sul tempo di percorrenza. Probabilmente perché uno svizzero non reggerebbe l’idea di inserire un’indicazione approssimativa e nessun buon cittadino oserebbe percorrere un sentiero impiegando un minuto di più o un minuto di meno rispetto alla cifra scritta sopra il cartello indicatore. L’assenza dei tempi di percorrenza non è una mancanza da poco, a meno di non essere dotati di costosissime cartine svizzere, pagate con costosissimi franchi svizzeri, dalle quali, attraverso qualche calcolo sulle curve di livello e poche facili equazioni, si può dedurre l’incognita “tempo”.
Un’altra cosa che non ho visto spesso in giro sono le fontane. Non è la siccità il problema: nessun laghetto svizzero o torrente svizzero oserebbe ridurre i suoi confini prestabiliti e segnati premurosamente sulle cartine, per un motivo banale come la siccità. Credo che il motivo sia da ricercare nei… “ristori” (quello che da noi si chiama “rifugio” è fatto diverso!). A 3mila metri di quota, quando la gola è completamente rinsecchita per sete, fame e fatica, appare come un miraggio un grand hotel con terrazza panoramica, tavoli da bar protetti da enormi vetrate frangivento, una stazione ferroviaria del trenino a cremagliera, un tizio che suona il corno e signorine in costume che girano tra i tavoli con un panciuto e tintinnante borsello in cuoio appeso in cintura. Pensando ad un miraggio dei più fantasiosi, si impegnano le ultime energie per correre in bagno pensando di prosciugare le sorgenti. Se la porta del bagno non è a gettone, riusciamo ad entrare e per associazione di idee pensiamo al bagno di casa nostra, ripromettendoci di tenerlo un po’più in ordine e pulito; poi però, quando sentiamo il profumo insistente che proviene da folti ciuffi di lavanda appena colta ci arrendiamo, pensando che tanto non saremo mai all’altezza di un bagno svizzero e cerchiamo finalmente il refrigerio del primo rubinetto libero. Ovviamente il cartello che comincia con “Verboten” e che esprime in tutte le lingue (tranne l’italiano) il concetto che quella non è acqua potabile ci infastidisce un po’, mentre si cerca disperatamente la cellula fotoelettrica che fa scendere l’acqua in automatico. Ci si arrende e si passa ai tavolini del bar, in cerca di qualcosa da bere e da mangiare, contando gli spiccioli che sono sempre in numero troppo esiguo rispetto a quanto le papille gustative sono già predisposte a sognare. Si scopre subito che la “birra piccola” corrisponde ad una tanica da due galloni e che costa molto meno dell’acqua minerale, quindi si cerca qualcuno che ci confermi con certezza che, tutto sommato, anche a nove anni un buon bicchiere di birra possa andare benissimo. In questo modo la gola non è più rinsecchita ma sono prosciugate le risorse economiche, quindi si può procedere per il ritorno. La discesa è un po’più facile e si ha occasione di cogliere il dettaglio che, se non fosse per il chiasso esagerato dei tuoi figli, in Svizzera sentiresti i boschi parlare con il cinguettio delizioso degli uccellini; appena si riesce ad allontanarsi dall’inquinamento acustico prodotto dalla prole italiana, si vedono riapparire gli scoiattoli terrorizzati e molti altri animali che si pensava vivessero solo nei cartoni animati del film Bambi. E questo ambiente assolutamente magico riesce a distrarci dai fastidi dei cartelli e delle spese della giornata. All’arrivo però, con orrore si scopre che dove abbiamo parcheggiato l’auto c’è un omino con il solito panciuto e tintinnante borsello di cuoio appeso in vita che aspetta solo i nostri ultimi spiccioli sopravvissuti.
Entrando in auto (che riconosci perché è l’unica punto color topo in mezzo ad un deposito di Mercedes e BMW gialle e arancioni) ti riprometti, come è già successo con il bagno del grand hotel, che almeno la terrai un po’più pulita.
Varcando il confine non si può sbagliare: i guard raid acciaccati e arrugginiti e la linea di sorpasso sull’asfalto che, quando c’è, sembra essere vagamente storta, ci fanno pensare che la direzione verso il Bel Paese è quella giusta. Anche in caso di nebbia fitta.
indicazioni
Voi non ci crederete, ma avendo scommesso con un amico
in merito all’esistenza di questi due cartelli,
m’è toccato tornare in Svizzera a rifare lo stesso giretto, apposta,
per portarmi a casa questa foto.
Questa volta pioveva, quindi la foto non è un gran chè…

venerdì 24 agosto 2012

I ghiacciai esistono ancora o sono solo nelle cartoline in bianco e nero?

escursionismo
Possibile che tutte le curve e i tornanti siano sempre e solo a sinistra??

L’inferno del disfa/rifa bagagli è un ricordo lontano e siamo in montagna, finalmente. Siamo saliti di quota, ma la temperatura è ancora a livelli estremi. Siamo quasi a 1300 metri compiuti ma il venticello della vallata, quando e se c’è, somiglia ad un phon con il pulsante bloccato su “hot” e si potrebbe cuocere un uovo sodo sul cofano della punto. Tutto si scioglie e si squaglia e la cosa preoccupante è che ghiacciai, torrenti e laghetti alpini li vedi solo nelle cartoline in bianco e nero.
E allora, alla ricerca disperata di una temperatura da sopravvivenza…si sale ancora di quota. Combattere la gravità ha del faticoso, ovviamente. Ogni volta che devo trasportare, oltre alle masserizie nel mio zaino, anche la ciccia depositata sopra i miei muscoli, mi ricordo i buoni propositi sull’astinenza (diciamo “moderazione”!) da focaccine/patatine/dolcetti/liquorini… Poi c’è la discesa e il rientro a casa; la fame compulsiva da piranha ha il sopravvento e tutti i buoni propositi finiscono in un brutale oblio, diluiti in bicchierozzi di birra fresca e taglieri di salumi e formaggi tipici

pozze d'acquaOgni anno sembra sempre un po’più dura: sono io che ho una primavera di troppo oppure sono i sentieri sempre più in salita? L’altro giorno siamo ritornati in uno dei posti di sempre: un torrente con diversi salti verticali, con le relative cascatelle che si tuffano in pozze d’acqua verdissima.Generalmente risaliamo scavalcando e arrampicando sui massi con una corda fino dove il percorso diventa praticamente inaccessibile; alcuni pezzi li facciamo a mollo, guadando da una sponda all’altra, approfittando per un bagnetto fresco. Quando il bagnetto inizia ad essere “troppo” fresco è ora di pensare alla via del ritorno (come con le cartine tornasole, il “troppo fresco” si stabilisce sulla base della tonalità di violaceo delle gambe). 
risalitaQuest’anno, complice il caldo, ho raggiunto lo stremo della fatica fisica della salita quando ancora il colore delle nostre gambe somigliava a quello della pelle di un bambino. Forse siamo saliti più in alto di sempre, ma quando siamo arrivati a casa io ero a pezzettini disallineati e mi sono consolata sul solito tagliere. Devo ancora capire se sono io che sono troppo “datata” per fare certe cose oppure se basterebbe limitare o modificare il mio modo di ingurgitare schifezze nel tentativo di placare il mio appetito da t-rex tenuto a dieta.
Non contenta, il giorno dopo abbiamo preso armi e bagagli e siamo andati a dormire finalmente al fresco, quota 2000, sotto un cielo fitto fitto di stelle. Solita lampada a petrolio per illuminare (so che i led sono molto più comodi, ma come si fa a leggere un libro sulle avventure nella foresta con… una lampada “a led”??) e, com’è giusto che sia, un sacco a pelo imbottito anziché un lenzuolo nel quale arrotolarci in cerca di un angolo ancora fresco del letto. Alla mattina siamo scesi al solito laghetto (che quest’anno è ridotto ai minimi termini) per un tuffo rinfrescante e dopo una giornata di sali e scendi ci siamo ritrovati a casa. Da allora ho il collo che pende a destra e il gomito sinistro che fa cric-croc. Lì la dieta non c’entra e questo è un pensiero molto triste. Un remoto angolo del mio cervello giustifica l’accaduto con il fatto che…non ho bilanciato bene lo zaino; forse, contro ogni logica, c’erano solo curve e tornanti a sinistra che hanno sbilanciato l’andatura… ma come scusa suona un po’debole. Lo ammetto.
Per non parlare poi dei miei girovagare su e giù in bicicletta: in salita, un po’pedalando, un po’camminando, riesco in qualche modo ad arrivare da qualche parte (in genere le mie mete preferite sono rifugi o malghe con torte burrosissime e cioccolate dense con il cucchiaino che sta in piedi sulla montagnetta di panna prodotta dalla loro Lola; come ogni asino che si rispetti, anch’io ho la mia carotina…); sarebbe divertente la discesa, se non fosse per il fatto che ad ogni sasso, mi sento sobbalzare come in un moto ondoso perpetuo, che dura anche la settimana successiva. Alla fine del percorso, le frequenze incrociate di tutte le onde provocate da tutti i sassi sono più simili ad una forte scossa elettrica che ad un idromassaggio…
Ma io non demordo. Domani ho in mente un giretto in Svizzera. Spero che l’ordine maniacale dei locali abbia prodotto solo ed esclusivamente curve a destra, così forse mi raddrizzo.

LINK: il portale dell'escursionista
LINK: uomini e montagna, che cosa mettere nello zaino

martedì 21 agosto 2012

La vacanza è la parte in mezzo tra le due fasi “prepara i bagagli” e “disfa i bagagli”

smistare
CASA AL RIENTRO VACANZE = deposito di mucchi di oggetti da lavare e smistare.
È molto comodo per chi, entrando qui dentro, avesse con sé un canguro con una grande nostalgia per le dune australiane. Ma non conosco una gran folla di persone che possiedono canguri che soffrono di nostalgia….

Ogni anno in vacanza ci sono due fasi “durissime”: la prima è la partenza (recupero masserizie utili e pulite, acquisti costosissimi dell’ultim’ora per le cose indispensabili che “l’anno-scorso-sono-sicura-di-aver-messo-lì”, assoluta incompatibilità volumetrica tra il vano bagagli e le borse); la seconda è il rientro. Si può concludere che se “la parte in mezzo” tra partenza e rientro è meno che “grandiosa”, il bilancio risulta in perdita netta.
Il rientro in genere avviene in una delle due condizioni: o si smanetta nel portabagagli sotto il diluvio universale perché era da mesi che si era dimenticato di piovere, oppure il termometro segna ancora implacabile i 40°C all’ombra e si desidera solo l’aria condizionata dell’ufficio. In entrambi i casi, al rientro la visione del portone di casa nostra è una specie di fumogeno che ci costringe di botto a smettere di sonnecchiare sul sedile dell’auto con il condizionatore a manetta; quando si ha finito la lunga e noiosa discussione sul tema “chi ha messo via le chiavi di casa, dove le ha messe?”, finalmente si può scendere e, aprendo la portiera, si intuisce che il termometro che segna la temperatura esterna all’auto non era rotto: ci si trova davvero in una specie di forno da pizza (o peggio, se è da due chilometri che si scatenano i monsoni, ci si trova sotto una specie di getto da autolavaggio); e in queste condizioni ci aspetta di scaricare una montagna bagagli strizzati in un vano troppo minuscolo; e questo non è ciò che si può considerare “finire in bellezza la vacanza”. E se poi sui sedili posteriori si hanno dei marmocchietti che ronfano beati, va anche aggiunto il teletrasporto-figli, che include un solenne frigno da esigenze immediate e persistenti dal titolo “ho-fame/ho-sete/ho-sonno”. Per fortuna nel mio caso gli eredi sono già più grandicelli e questi sono incubi ricordi lontani, di cui non sento particolare nostalgia. Rimane la faccenda dei bagagli: un tappeto sconfinato di borse, più o meno luride o accartocciate, destinate a rimanere in mezzo al passaggio per ore (e non sempre “l’ora” è l’unità di misura più appropriata), sopra la polvere e sotto le ragnatele che nelle settimane di assenza hanno preso alloggio a casa mia.
La lista “da fare”, man mano che i bagagli vengono depositati in casa, si allunga con la velocità del nostro debito pubblico ed emotivamente, questa è una cosa che non fa stare sereni. So che mi lamento a pancia piena, ma generalmente noi, dopo aver trascorso un po’di tempo al mare, ricompattiamo borse e borsine per un’altra vacanza in montagna. Come dicevo prima, la parte “in mezzo” è grandiosa, ma la fase “partenza” e la fase “arrivo” necessitano di braccia da condannati ai lavori forzati con l’organizzazione teutonica di un gendarme. Incrociando le fasi “rientro dal mare” con la fase “partenza per la montagna”, inevitabilmente si ingarbuglia tutto in movimenti contraddittori insiti nella natura stessa dell’attività “disfa bagagli/rifa bagagli”. Si inizia una produzione prolifica di mucchi di oggetti, distribuiti variamente per casa, che teoricamente avrebbe lo scopo di suddividere per categorie di smistamento ed utilizzo, tanto per evitare di portare in montagna pinne e boccaglio. I mucchi sono il mio incubo diurno e si installano come virus nei miei programmi onirici di notte. In queste condizioni, in breve il caldo ha la meglio, la lista “da fare” diventa più lunga dei rotoloni Regina e, generalmente, già al punto “1” perdo ogni speranza mentre mi accascio lentamente sui miei mucchi.
Uno dei lavori che detesto maggiormente è il lavaggio della tenda e di quanto essa contiene: l’ombra della grande quercia sarà anche una figata, ma il paciugo di resina e salsedine ha il vizio di appiccicarsi ovunque (per l’anno prossimo proporrò querce finte in plastica ecologica); inoltre la sabbia si insinua dappertutto e fuoriesce da tutti i posti più assurdi: si potrebbero eliminare tutte le cave di sabbia se qualcuno si prendesse la briga di venire a casa mia con un aspirapolvere gigante dopo che sono stata al mare.
In tutto ciò le zanzare sembrano le uniche abitanti felici di questo posto infernale, in sintonia con il caldo da palude.
A chiunque non sia chiaro come in un algoritmo funzioni il loop del “go to” può venire a casa mia a vederlo dal vivo: si preleva dal box un buon numero di borse/valige/borsoni, fintanto che le energie non danno forfait; poi si procede trasformando la casa in un immenso deposito di mucchi da lavare e smistare; quando si sono esauriti i borsoni, si torna al punto “1” dell’algoritmo, ricominciando tutto daccapo. In pratica si finisce per avere la casa relativamente libera e con i mucchi sotto controllo solo di notte, dopo una lunga e intensa giornata di lavoro; appena ci si alza dal letto, ci aspettano i lavori forzati per un’altra impegnativa produzione di mucchi. E detta così, è vagamente demotivante. Nelle giornate “disfa&rifa” continuo ad avere in testa i prigionieri nelle navi: quelli sbucciano patate tutto il giorno. Da seduti. Insieme, chiacchierando tra loro e cantando. Mi piacerebbe che ci fosse qualche nave sotto mano che volesse prendersi la briga di tenermi prigioniera per un po’. Ovvio che il mio appello non riguarda i pirati; ho piuttosto in mente le imprese epiche dei primi del ‘900, quando Shackleton guidava il suo Endurance tra i ghiacci del Polo, meta ancora inesplorata. …Ripensandoci, però forse meglio cercare qualche impresa più facile: in questo momento, la cosa più attraente di un’avventura tra i ghiacci è l’associazione con le temperature di quelle parti, perché l’idea di passare nove mesi a zonzo tra le terre di Coats probabilmente renderebbe attraente persino fare la cavallina tra i miei mucchi. Invece i mucchi, dal punto di vista dei figli, credo siano vissuti come comodissime trincee dove nascondersi per evitare compiti delle vacanze e faccende varie. Solo loro riescono a vedere sempre e comunque il lato vacanziero della cosa. Io invece, date le condizioni e le premesse, ho la pretesa che la parte “in mezzo” della vacanza debba necessariamente essere strepitosa. Personalmente tutti mi trovano in forma smagliante al mio rientro per poi tornare aggrinzita e ricurva lontana dallo iodio.
Insomma, la fase disfa/smista/lava/rifa-bagagli è una delle fasi più impegnative dell’estate ed è la scusa che mi serve per potermi rimpinzare di pizzette e focaccine senza ritegno, sapendo bene di evaporare tutte le energie accumulate solo nel punto “1” della mia dannata lista.

venerdì 17 agosto 2012

Versione LOB (Libro-Ombrellone-Bibita) o versione NaSA (NAtura Selvaggia e Avventurosa)?


vacanze
L'ozio in vacanza
C’è un sacco di gente che la vacanza la sogna pensando a lunghissime dormite sulla sdraio con bicchiere di bibita, libro, ombrellone e profumo di piadina calda. L’attività più frenetica prevista è lo zampettare sulla sabbia bollente tra un’isola d'ombra e la successiva per raggiungere il chiosco “bibite & pizzette”. E in questi casi è facile: l’ozio non è un’attività particolarmente impegnativa e, con un piccolo budget, i camerieri sono fatti apposta per appagare ogni esigenza di questo tipo. Rimane, come unico grande problema da risolvere, la scelta del buon libro o della rivista da portarsi nella borsa da spiaggia. Meglio se il libro è anche un po’soporifero, in modo da… accelerare i tempi! Se in cinque o dieci righe l’obiettivo è già raggiunto, allora il libro è quello giusto.
Io no. Io quando ho più di un muscolo inattivo inizio ad avere un surplus di adrenalina che mi devasta il cervelletto. Se passo più di due minuti di inattività mi si arricciano i nervi e divento ancora più insopportabile del solito (a meno che l’inattività sia una faccenda “contemplativa”, che includa un buon bicchiere di limoncello da stringere tra le dita). E la cosa tragica è che le attività che prediligo non sono attività che trovi dietro ogni angolo, ma necessitano almeno un pizzico di avventura. Niente pizzi e ricami, niente biscottini al forno: traversate, risalite, percorsi sono le occupazioni che mi accendono; quindi non mi basta fare un salto al super per fare il pieno di lievito e farina, o una gita fino l’edicolante all’angolo per tornare soddisfatta con enigmistica e giornale.
Quello che in genere mi occorre comprende una lista un po’più complicata: mi serve un promontorio che si affacci su un ampio golfo blu e mi permetta di controllare la situazione dall’alto; possibilmente un torrente fresco con qualche pozza d’acqua profonda e azzurrissima, corredato da qualche roccione da cui tuffarsi; al largo dal caos della spiaggia, è comodo avere un’isola da raggiungere in qualche modo, che abbia un fondale ricco e colorato e, meglio, qualche buchetto tra le rocce, dove cercare colori perlacei e sentirsi dentro il rumore dei flutti; un buon campeggio dove le piazzole consentano lo stretto contatto con la natura (in molti campeggi, gli spazi sono tali che “lo stretto contatto” avviene solo con i vicini di tenda); poi occorre una lampada a petrolio per addormentarsi con un buon libro mentre i rumori del bosco fanno da sottofondo hi-fi.

costruzioni campeggio
Questo sarebbe poi diventata la doccia da campo
Da ultimo è necessaria una boscaglia a portata di mano dove raccogliere materiale “di arredo”: tronchi, rami e rametti mica li trovi al banco frigo dello spaccio sotto casa! (ovviamente non sto parlando di devastare un bosco: sto parlando di “ripulire” una boscaglia da ciò che madre natura ha già scartato e fatto precipitare rovinosamente a terra: si tratta di prendere ciò che è già a portata di mano e che può risultare di massima utilità; anche le pigne dei pini marittimi sono profumate e possono avere diverse funzioni; e le carrube, se assemblate con un po’di coreografia, sono ottime finiture ornamentali; non penso che abbiano altra utilità per nessuno, madre natura compresa: qualcuno ha mai risolto il quesito, diffuso tra i frequentatori della Liguria, “a che cosa servono le carrube?” Bo??).







costruzioni campeggio
Il primo "mattone" del tavolino sull'albero

Il tavolino di tronchi sull’albero è indispensabile per consentire ai figli di sopportare il peso dei compiti delle vacanze. E fanno pure a gara per salirci e usarlo! Poi c’è l’angolo della doccia da campo (il sacchetto nero che si appende e si scalda con gli UV) con tanto di appendini per gli asciugamani e portasapone intagliato. C’è la classica altalena, l’appendiabiti, il porta-masserizie e tutto quello che la creatività amalgamata con la funzionalità riescono a produrre, con ciò di cui la boscaglia non sa che farsene.




Tabur Jack II
La Tabur Jack II vista da fuori bordo
Io sono anche riuscita a recuperare una vecchia bagnarola (ha il tipico aspetto di un “tappo”, più che somigliare ad una “barca” vera e propria. Ma sta abbastanza a galla e questo è quello che mi serve). La “Tabur Jack II” (questo è il suo nome, inciso a grandi lettere nella plasticotta arancione) è la barchetta di Fantozzi: quella grigia e arancione, che l'intramontabile ragionier Ugo portava al mare, montata sul portapacchi, sopra al tetto della bianchina. La sua però aveva il motore, mentre la nostra ha un fazzolettone bianco che serve per andare con il vento. I miei figli chiamano il “cosone bianco” che sta a prua, pomposamente con il nome di “vela” (e tutto sommato, serve proprio a quello).

Bene, capita generalmente che da quelle parti, il vento spinga di traverso, parallelamente alla costa, in modo che sia comodo da sfruttare per raggiungere l’isola Gallinara; sembra fatto apposta sia per l’andata sia per il ritorno; e in alcuni giorni di vento forte ci si diverte come pazzi (è anche capitato che ci tradisse, calando di colpo e dovessimo elemosinare un passaggio al traino da qualche pescatore).

E da ultimo, il mio primo erede, appassionato di bike trial, trova che i massi del porto siano l’ideale per divertirsi a saltellare con la sue due ruote.


scogli
La produzione fotografica è gentile concessione della Pomella’s sons.
(solo loro sono capaci di mantenere il sangue freddo nei passaggi più difficili senza urlare e concentrandosi solo sul mirino; a me le foto vengono sempre mosse perché a vedere il mio bambino saltellare lì sopra mi viene una fifa blu e tutte le mie forze sono impegnate in un training autogeno, anziché nell’inquadratura giusta)
Insomma, ecco gli ingredienti per la mia vacanza ideale. Ed ecco perché ogni anno torno sempre lì.

venerdì 10 agosto 2012

Le difficoltà geometriche della Liguria sono solo il “lato B”. Esiste anche un solido e robusto “lato A”.

Anche i posti più assurdi, con un po’di fantasia possono diventare un luogo magico per arricchire lo zaino di ricordi indimenticabili.
A proposito di posti assurdi: la Liguria è fatta con una serie di rocce a picco sul mare; detta così sarebbe affascinante, se non fosse per il fatto che in anni di speculazione, siamo riusciti a inserire in un tratto di costa largo come il mio fazzoletto, una ferrovia, l’Aurelia, l’autostrada, una lunga serie di spiagge, paesini intervallati da serre e serre intervallate da paesini. Una lunga e stretta striscia di invasione umana, accatastata alla rinfusa e a ridosso sul mare.

rocce a picco
Lista del materiale occorrente
per formare la costa ligure
Le spiagge: la sabbia è una rarità e per portarcela devi usare ogni anno i camion, che fanno da tappo alla solita, sempre lei, Aurelia-monocorsia-tante-curve-e-lavori-in-corso. Se la mini-spiaggia ha la sabbia, il suolo ha un costo al metro quadro pari al valore di un appartamentino in Costa Azzurra. Se la sabbia non c’è, si stende l’asciugamano su un pezzo di terra e sassi. In questo luogo di amena serenità, per fare i dieci metri che ti separano dalle onde, occorre chiedere “permesso” almeno dieci volte; chiaramente, poiché la geometria detta leggi esatte, se in un fazzoletto di terra, confinato dalla ferrovia alle spalle e dal mare di fronte, si intendono ospitare i turisti che provengono dal nord Europa, i piemontesi, i lombardi e qualche altro curioso, per forza di cose si deve ipotizzare il “multistrato”; per passare, le prime cento volte si chiede “permesso”; dalla centouno in poi si è presi dalla monotonia e la buona educazione lascia il posto alla noia della ripetizione.
Ovviamente è proibito giocare a palla; dico solo “proibito” e non “impensabile” perché quando si ha meno di quindici anni, si è in una spiaggia e si hanno altri coetanei simpatici con cui dividere la vacanza, si riesce anche ad organizzare partite agguerritissime sulla pancia dei turisti.
E’ un problema geometrico: se tutta quella gente “non ci sta” in una terra così ridotta, per forza di cose è indispensabile regolamentare tutto, giusto per una questione di sopravvivenza; ad esempio occorre regolamentare il parcheggio, che ovviamente è insufficiente per ospitare tutti, pertanto “regolamentare il parcheggio” significa essere perennemente in contravvenzione, oppure ricorrere, quando ci sono, a spazi costosissimi. E questo è il “lato B” della faccenda, che ha contribuito pesantemente a mollare a casa il capo famiglia il quale, dopo aver esaurito la sua forza fisica e mentale a caricarci l’auto con armi e bagagli, ha espresso le sue ultime briciole di forza per salutarci con il fazzolettino dal cortile dei box mentre si fregava le mani pregustandosi la “vera” vacanza con casa libera, orari a caso e rutto libero.
Noi invece siamo partiti per il mare, sognando il “lato A” della Liguria. Stando un po’attenti e con una spesa ridotta, si può godere di luoghi davvero incantevoli, lontano da tutto. Gli scogli nerissimi contrastano con il blu del mare profondissimo, che spruzza direttamente sulla faccia di chi riesce a stare in bilico sulle rocce appuntite. Anche il granchietto che, saltando fuori dagli scogli ti salta sulle ginocchia ha il suo fascino. La natura prorompente vince sulla siccità e sulle asperità del luogo, sulle cui rocce trovano alloggio le radici di macchie di colore profumatissime: gialle ginestre, bouganville violacee e oleandri in technicolor riescono ad accomodarsi talmente bene che sembrano invasori infestanti e te li ritrovi dappertutto.
L’entroterra è fresco e rigogliosissimo; i ruscelli creano pozze d’acqua blu dove è impossibile trattenersi da qualche tuffo. Il profumo della terra e degli ulivi contorti lo ritrovi in tavola, dove l’olio, da solo, è in grado di trasformare un hamburger in una prelibatezza.
Ma il vero jolly di quelle terre sono i liguri: in moltissime occasioni abbiamo avuto riprova che sono tutti disponibili ad adoperarsi per risolvere ogni tuo problema o, nel caso, si danno un gran daffare per coinvolgere amici o conoscenti che hanno la chiave giusta per aiutarti.
Insomma, le poche settimane per scoprire il “lato A” sono sempre troppo striminzite, per quanto sia il loro numero; e, per quanto riguarda noi, quando dobbiamo fare armi e bagagli per tornare a casa, l’operazione prevede sempre una profondissima tristezza; da anni. Ed è stato così anche questa volta, quando, verso metà luglio abbiamo dovuto salutare quella che è stata “casa nostra” per quasi un mese.

giovedì 2 agosto 2012

Partire = esplodere in un interminabile litigio con il vano portabagagli. Ecco com'è andata:

La partenza è stata di quelle più classiche: tempi strettissimi per organizzare tutto (già il verbo “organizzare” intimidisce di suo; l’attributo sul tempo, che è “poco”, “ridotto”, se non addirittura “striminzito”, mette la ciliegina sulla voglia della parte “pre”-vacanza). Dopo i bucati di rito per disporre di tutto l’occorrente che deve essere imbustato e impacchettato in una valigia, possibilmente sotto vuoto e con un sistema che produca assenza di peso, si passa alle discussioni interminabili con lo spazio disponibile nel vano bagagli; io ho una punto e il carico (degno di una nave da cargo), è tale per cui le ruote erano "lievemente" orizzontali. Il lato positivo (occorre sempre considerare la faccenda del bicchiere mezzo pieno!) è che la punto somigliava esattamente ad una navetta spaziale, con le ruote orizzontali che sporgono come le ali degli sgusci di Star Wars.
viaggio
Per inciso: la barca, capovolta sul tetto, nasconde una quantità di bagagli compressi inenarrabile e un paio di figli sono dovuti farsi il viaggio in treno per mancanza di volume disponibile.
Questa sopra è stata la partenza da un box, prestato da amici, per contenere l'incontenibile!
Mèta: una costa verticale a picco sul mare; terrazzamenti colmi di ulivi i cui rami attorcigliati somigliano a sculture scolpite da Madre Natura; scogli nerissimi che contrastano con il blu del mare profondissimo; profumo intenso di gelsomino, salsedine e focacce appena sfornate nei carugi; colori sgargianti delle bouganville, delle ginestre e degli oleandri; insomma, la Liguria.
Occorrente: una tendina igloo da aprire sotto la grande quercia che si sporge sul golfo, una barca a vela grande come il mio fazzoletto, un’isola con le rocce a picco da raggiungere grazie ad un buon vento traverso. Sto parlando della Gallinara.
E’ così che è cominciata, un mese fa, l’avventura di quest’estate…
vela
La ciurma normalmente prevede altri due mozzi, che sono "al di qua" della macchina fotografica