lunedì 25 novembre 2013

Il calzino..."malleolare" (malleolare = da "malleolo")

Questa mattina, prima di schizzare in ufficio sono stata abbastanza perentoria: essendo già tutti andati a scuola, ho affisso un cartello con minacce varie proprio davanti alla loro play station. Al momento quindi, i casi sono due:
1)   Arrivano a casa, si tuffano sulla play, spostano il cartello e cominciano a giocare
2)  Arrivano a casa, su tuffano sulla play, leggono il cartello e cominciano a giocare.
La probabilità che si attui il caso 1 o il caso 2 è direttamente proporzionale alla quantità di moto impiegata nel tuffo, la quale a sua volta è direttamente proporzionale al tempo trascorso dall’ultima giocata, la quale a sua volta è funzione degli accordi presi nella turnazione tra i fratelli. Difficilmente i compiti costituiscono una delle variabili fondamentali per il calcolo della quantità di moto.
Il concetto espresso dal mio cartello era abbastanza semplice: se si azzardano a tardare oltre nella sistemazione della loro camera, la mia vendetta sarà atroce.
L’unico baco consiste forse nel fatto che non ho ancora ben chiaro quale sia il tipo di vendetta che potrebbe concludersi con un buon risultato. Mi basterebbe anche solo un risultato decente, che sarebbe comunque il primo dopo tanto tempo di lotte inutili.
Funziona sempre così: al sabato si entra in camera loro vestiti da samurai, si fa qualche balzo acrobatico roteando il manico della scopa, poi ci si presenta con un lanciafiamme sperando di spaventarli almeno un pochino e poi è ora di cena. La camera, nel frattempo, non ne vuole sapere di mettersi a posto da sola.
E questo va avanti da anni, fintanto che non si presentano le giornate come oggi. Oggi, prima di uscire per andare in ufficio ho provato a cercare le mie calze. Il mio cassetto della biancheria è vuoto come un treno per pendolari a ferragosto: continuando a fare bucati per “loro”, sono indietro con i lavaggi delle mie cose. Gli unici oggetti che vagano nei miei cassetti vuoti non avevano niente a che fare con l’oggetto “calze” e avevano la stessa aria triste della particella di sodio nell’acqua Lete.
Allora mi è venuto in mente di cercare nei cassetti dei figli.
Ecco il risultato: oggi sono in ufficio con un calzino che arriva al malleolo e l'altro che arriva sotto il
ginocchio. Per fortuna, nella penombra del “sotto-scrivania”, sembrano essere scuri tutti e due. Continuo a tirarmi giù il pantalone e cerco di non muovermi troppo da questa sedia. Per fortuna la mia postazione è "d'angolo" e ho infilato il calzino "malleolare" sulla gamba destra, vicino alla parete e alla cassettiera. Ho infilato la gamba lì dietro e...spero che non mi scappi la pipì prima che siano usciti tutti dall'ufficio.
Purtroppo sono passati solo 45 minuti e inizia a darmi veramente fastidio il crampo alla gamba destra. Mi vengono in mente i tempi in cui a scuola, in preda al panico da interrogazione, speravi vivamente che qualche anima pia facesse suonare qualche allarme antiatomico, grazie al quale evacuare la zona. Se così fosse, aspetterei che si svuoti l’ufficio per provare a muovermi e far tornare quel minimo di circolazione sanguigna in grado di evitare l’amputazione, evento certo ora di sera.

lunedì 18 novembre 2013

SatellitARE: prima coniugazione

Ieri, se eravate in giro in auto per la Lombardia, è matematicamente certo che ci siamo incontrati, perché ho girato tutti gli angoli possibili nel tentativo di accompagnare un figlio ad una delle sue attività sportive a Villanova.
Contavo sul satellitare ma ieri, probabilmente a causa dell’alto tasso di umidità, preferiva insistere a
puntare dritto verso sud, direzione Sahara.
Abbandonata da un satellitare in sciopero, mi rimanevano due alternative: chiedere ai vecchietti o chiedere ai ciclisti.
I vecchietti alla domenica mattina abbondano: hanno i fiori in mano e sono diretti al cimitero, dopo l’uscita da messa. Generalmente viaggiano in coppia e quando gli chiedi un’indicazione discutono tra loro per dieci minuti se è più comodo farti fare il giro che passa davanti a casa della Gina o del Pinuccio. Prima di arrivare ad un accordo, però, ti chiedono se sei sicuro che il “Sciur Villanova” che stai cercando abiti proprio dalle loro parti.
Quindi, dopo qualche mezz’ora passata così, mi sono arresa e ho puntato ai ciclisti.
I ciclisti sono il flagello delle strade perché se provi a superare i dieci che invadono l’intera corsia mentre si godono le chiacchiere e il paesaggio, quello che succede dopo non è niente di piacevole.
I ciclisti però hanno un vantaggio: generalmente hanno in testa tutta la cartina del circondario. Il problema è solo intercettarne uno e provare a fare il download del suo sapere geografico, nonostante lui mostri chiaramente di non avere voglia di staccarsi dal gruppo e dalle chiacchiere con gli altri ciclisti.
L’operazione, che non è affatto banale, richiede pazienza e dedizione, ma alla fine, se ti accontenti di un ciclista solitario (elemento raro, ma qualcuno lo trovi) l’intercettazione va a buon fine. Il ciclista solitario è in giro a zonzo e spera solo di perdersi nella campagna lombarda e questo non fa di lui un buon satellitare. Ieri c’è stata anche una piacevole discussione sull’origine medioevale del nome Villanova e Villafranca, a dimostrazione del fatto che cercare un paese dal nome Villanova è una pretesa inaccessibile, dal momento che il solo Stivale ne conta ben 51, nonostante la crisi agraria nel XIV secolo ne abbia fatte sparire moltissime. Io invece propendevo per la tesi che dovendo accompagnare il pargolo ad una semplice manifestazione sportiva promossa dall’oratorio, avrei messo in dubbio tutte le Villanove a partire dall’Italia centrale, nonché avrei categoricamente escluso quelle nella parte meridionale del Paese, senza per questo voler passare per leghista accanita, naturalmente!
Il modo con cui siamo giunti a Villanova, e nel Villanova giusto, si è basato su un percorso “logico”, con il quale non si può sbagliare: ad ogni bivio, basta prendere, in sequenza, tutte le direzioni possibili. Prima o poi si arriva.
Purtroppo abbiamo iniziato a sperimentare questo sistema infallibile appena dopo il bivio giusto, ovvero il bivio che si trova dietro casa nostra, il quale è stato testato come ultima chance. Verso mezzogiorno, abbiamo dunque scoperto che noi abitiamo nel paese praticamente a fianco ad un altro paese che si chiama “Villanova”. Mai saputo prima. Ora lo so.
Il motivo per cui ho accompagnato fuori tempo massimo uno dei pargoli a Villanova, era per lasciare il macinino elettrico all’altro figlio, il quale doveva andare ad un’altra manifestazione sportiva. Il macinino che può guidare un 14-enne è un oggetto che conta 4 ruote (quella di scorta non c’è perché non ci sarebbe il posto dove metterla), somiglia vagamente ad un’automobile, ma non può essere guidata in autostrada o in tangenziale. Il satellitare “che funziona” è stato dato a lui, ma l’opzione che esclude autostrade e tangenziali, chissà perché, ieri proprio non andava.
Il risultato netto è stato che, dopo aver percorso gli 80 km di autonomia della batteria nel tentativo di bypassare strade a lui non concesse, si è trovato in mezzo al nulla, con la sua bici legata sul tetto, ad aspettare un carroattrezzi.
Se penso alla nostra collettiva manifestazione di disappunto nei confronti del terzo figlio, di fronte alla sua chiara ostinazione a voler passare tutta la domenica mattina inchiodato davanti alla play station, qualche domanda me la faccio.

PS Cristina G:

Leggi http://cepocodaridere.blogspot.it/2013/11/messaggio-per-cristina-g.html

martedì 12 novembre 2013

Messaggio per Cristina G.

Ciao.
Recentemente qui si perde di tutto. Da quando i miei genitori si sono trasferiti vicino a casa mia, la fantasia del riordino degli oggetti che sbucano dagli scatoloni supera qualsiasi immaginazione: mio papà ha trovato "IL-posto-idoneo" del metro da sarta nel cassettino del bagno, mia mamma ha infilato la macchina fotografica in un angolino dietro ai vecchi trenini elettrici e via discorrendo. Ne consegue una lunghissima e noiosa lista di cose disperse chissà dove. Spesso è divertente vincere le scommesse sul ritrovamento degli oggetti più svariati con le ipotesi più assurde; nei momenti di fortissimo ritardo, quando l’oggetto disperso è una cosa che serve a me, il lato divertente colpisce gli altri e in quel momento manco un po’di senso dell’umorismo.
Il bello di questa faccenda, però, è che quando non trovi un qualsiasi cosa, di fisso, la colpa è dei nonni.
Per venire al punto: Cristina G, non trovo il tuo numero di cellulare. Non ho la tua mail. Non mi ricordo il tuo indirizzo. Sicuramente mia mamma, anche se è da vent’anni che proviamo a spiegarle che cos’è un pc e da 10 ci tentiamo con un cellulare, lei sicuramente è la principale causa della perdita.
So che ogni tanto leggi qui dentro, per cui sappi che ho sentito Annamaria C.
Ci siamo ricordate che il 10 dicembre è sempre stato il tuo compleanno; tant'è che da quando eravamo bambine, ogni volta che venivo a casa tua e schiacciavo il numero di piano dell'ascensore, facevo il ragionamento (un po'contorto, forse) che tu eri nata il  12-mo mese, cioè dicembre, come il numero di piano, cioè il 12.
Cioè un numero pari.
E che il giorno del compleanno era il 10, cioè il "piano" pari che stava sotto; ed era quello "sotto" perché io, tra noi due, ero (e sono) la più bassa (quindi, "sotto").
Nel frattempo l'ascensore si riempiva di gente e io finivo per schiacciare un tasto a caso perché iniziavo a sentirmi un po'nervosa... Più tardi ho scoperto che anche la Chicchi faceva lo stesso ragionamento; però era più veloce di me e riusciva a scegliere il piano giusto prima che l’ascensore si affollasse troppo. Ero sempre molto gelosa della sua velocità su questo ragionamento.
Dubito che, per farci il piacere di evitarci ragionamenti contorti, tu ti sia presa la briga di cambiare il giorno del compleanno. Penso che sia stato più facile cambiare casa e numero di piano. Quindi il giorno del compleanno, credo che sia rimasto il 10 dicembre. Viceversa, non so a quale piano abiti ora.
Sarebbe stato più semplice associare il 10 dicembre alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani per esempio, ma quando hai un’età che si indica con le dita, la prima associazione che viene in mente non è con la carta dei diritti ma con i bottoni dell’ascensore, visto che arrivare fin lassù è una dura conquista spalmata nel corso degli anni. E un tappo come me lo sa bene.
È tutto. Ciao.