L’ho ripetuto più volte che sarebbe stato meglio stare a
casa sentendo il Tuc-Tuc della pioggia sul tetto della mansarda. Copertina…
divano…ciabattoni… Libro e tisana calda.
Ve lo ricordate? L’ho detto anche a voi…!
Ma no: dovevano a tutti i costi andare a fare trial perché
altrimenti, secondo loro, sarebbero successe tante di quelle cose così tremende
che, tutte assieme, avrebbero sicuramente aumentato l’entropia planetaria al
punto che sarebbe esplosa qualche super nova con gravi danni all’umanità. E di
fronte ai danni all’umanità…
Carico la bici numero uno sul porta bici (questa volta sono
stata bravissima: l’ho caricata “dopo” la trave in cemento armato, evitando il
consueto “BAM” su quel pezzo di soffitto più basso). Poi passo alla bici due.
Poi smonto tutto perché mi accorgo che il rinforzo in basso del portapacchi è
montato capovolto, ma anche questa mezz’ora è già in budget sotto la voce
“varie ed eventuali del montaggio bici”.
Poi dobbiamo salire tutti di sopra perché tutti noi abbiamo
lasciato mediamente 4 cose fondamentali a testa davanti alla porta, con l’idea
che così sarebbe stato impossibile lasciarle a casa. Pur sentendomi un
po’fissata, lego le bici già montate sul portabici con un lucchetto (quello di
costo “medio”, per il quale non basta il tagliaunghie per reciderlo).
Quando riscendiamo vediamo che della bici “due” non c’è
traccia; in compenso è rimasto il lucchetto reciso a metà a penzoloni.
E a questo punto, il boato di urla rabbiose che avete
sentito ieri, da qualunque posto voi eravate in quel momento, era il boato
delle urla di Abi, visto che la bici “due” era proprio la sua.
Abbiamo provato ad andare ai vigili del quartiere ma
evidentemente era il primo maggio anche per loro; abbiamo telefonato alla
polizia nazionale e ci hanno risposto che avrebbero provveduto a passare la
segnalazione ai vigili di quartiere. In pochi secondi ci siamo trovati con la
telefonata già conclusa e nulla di fatto.
Per superare la frustrazione avevamo bisogno di fare
qualcosa che ci sembrasse più produttivo e ci siamo suddivisi per scandagliare
ogni angolo del paese, frazioni e dintorni compresi, con istinti vagamente
primordiali e bellicosi; probabilmente speravamo di trovare un mite signore
sulla nostra bicicletta che gironzolava a passo d’uomo e che si sarebbe scusato
per il terribile equivoco…
Non abitiamo in un quartiere particolarmente malfamato;
anzi, le case sono abbastanza carine e ci sono anche diverse villette con
giardino. I “ccciovani” che vedo in giro sono quelli un po’scanzonati che
frequentano i miei junior e che, tutto sommato, non mi sembrano producano danni
gravi alla società. Eppure, quando cerchi di entrare nei bassifondi di un
quartiere, pur non sapendo da che parte incominciare a cercare, dopo pochi
minuti scopri che esiste una fauna e un sottobosco che non avresti mai
immaginato. L’idea era quella di fermare chi, almeno in apparenza, poteva
“saperla lunga” e offrirgli un premio in cambio della “mia” roba, qualora fosse
stato così “sceriffo” da ritrovarla.
Sulle prime confesso che non mi sentivo tanto baldanzosa
dall’idea di fermare gruppi di ragazzoni strabordanti di muscoli e tatuaggi; poi,
ci ho preso la mano e dopo un tot, confesso che ormai la tiritera del premio la
sapevo a memoria.
Non credo di aver centrato il bersaglio del vero “abitante
del bassofondo” o, tanto peggio “frequentatore abituè di ladri di professione”,
perché mi sono attenuta allo stereotipo. In quel momento, l’individuazione del
gruppo “cciusto” di ragazzi era basata sui soliti requisiti: vestiti neri e
attillati dai quali fuoriuscono rotolini di muscoli, variamente addobbati da
vari piercing e tatuaggi; un linguaggio che somiglia il meno possibile
all’italiano salvo, nel migliore dei casi, un loro dialogo in
cccciovanese-stretto, basato su poche frasi ripetute: “Ehi, fratello!… Bella zia!…”
Casco nero di un motorino nero per le figure più losche;
bici sgangherata, per le “vie di mezzo” e gente a piedi o seduta su un muretto
per le facce forse più raccomandabili.
In realtà, superando il primo impatto del saluto rivolto a
me, secondo lo standard “Ciao zia”, “Ciao bella”, “Ma chi ti ha mandato? Il
Gino?”, ho avuto modo di scoprire che, dopotutto, sono ragazzi simpatici e con
solo un tubo di voglia di studiare o di stare alle regole del gioco. Ma su
questo abbiamo molto in comune: neanche a me piacciono da impazzire le regole
del gioco di questa società, dopo tutto!
Non credo che le mie promesse di elargire premi per
asciugare i lacrimoni del mio bambino senza la sua bici produranno grandi
effetti. Probabilmente avrei dovuto lasciar perdere lo stereotipo e cercare
nelle villozze dietro casa, nel garage dei giovani rampolli per bene col papà
industriale.
Comunque io lo avevo detto: ieri, invece di vagare sotto il
diluvio a cercare inutilmente di recuperare la bici, sarebbe stato tanto meglio
divano copertina e libro…!
Chissà perchè non mi danno mai retta...?
LINK: fantastica iniziativa a Milano contro i furti di biciclette
LINK: Ladri svizzeri di biciclette: i figli del lusso
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5 commenti:
Ma... noooooo!!!!
ma noooo dai!!! non ci posso credere!!! Come puoi far diventare un fatto diciamo normale in un'avventura da film??? Sei troppo forte!!!
come mi dispiace povero bimbo! ma la gita nel bassofondo è sempre un piacere.
Ciao Pomella. Beh, tu almeno ti sei data da fare, sei pure andata nei bassifondi, io sarei rimasta malissimo. Sarei rimasta a fissare il lucchetto reciso a bocca aperta. Una volta ripresa, un attacco isterico non me lo sarei risparmiato, però!
Probabilmente se avessero rubato la mia, di bici, avrei fatto lo stesso. Ma quando ti toccano "sulla pancia" si attiva il nervo e gli istinti prevalgono...
Ma poco cambia: andrà a finire che gli darò la mia, di bici, ovviamente! Mica posso lasciarlo a piedi, poveretto...!
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